L’anno 1994, per iniziativa dell’Onu, è stato proclamato
Anno internazionale della famiglia, dimostrando
così quanto la questione familiare
è importante per le nazioni. Giovanni Paolo II coglie
l’occasione per scrivere una Lettera alle famiglie
di tutto il mondo. «La celebrazione dell’anno della
famiglia mi offre la gradita occasione di bussare alla
porta della vostra casa, desideroso di salutarvi con
grande affetto e di intrattenermi con voi» (n. 1).
La famiglia ha un’importanza vitale: «Quando
manca la famiglia, viene a crearsi nella persona che
entra nel mondo una preoccupante e dolorosa assenza
che peserà in seguito su tutta la vita» (n. 2).
La Chiesa, popolo di Dio in cammino nella storia,
non può non incrociare la famiglia che, tra le numerose
strade, «è la prima e la più importante: […]
una via dalla quale l’essere umano non può distaccarsi
» (n. 2). È missione della Chiesa servire la famiglia
con il grande patrimonio di storia, di testimonianze
e di proposte di cui dispone. Il Papa auspica
che l’Anno della famiglia sia animato da una grande
preghiera che «raggiunga anche le famiglie in
difficoltà o in pericolo, quelle sfiduciate o divise e
quelle che si trovano in situazioni irregolari (n. 5). A
tutte desidera manifestare amore e sollecitudine.
Nel rileggere la Lettera, a distanza di diciassette anni
(1994-2011), il pensiero va anzitutto a “Chi” l’ha
scritta. Giovanni Paolo II manifesta una passione
per la famiglia. Come sacerdote si è dedicato
all’apostolato tra i giovani; come docente di etica
all’Università Cattolica di Lublino, ha pubblicato libri,
tradotti anche in italiano, sulla dignità della persona
e sull’amore umano nella visione
filosofica e teologica; come vescovo
di Cracovia, ha partecipato al concilio
Vaticano II (1962-1965) contribuendo,
in particolare, alla stesura
della Gaudium et spes dove si trova il capitolo
“Valorizzazione del matrimonio
e famiglia”. Durante il pontificato,
tra i più lunghi e il primo dopo parecchi
secoli di Papi italiani, ha voluto
il Sinodo dei vescovi sulla Famiglia
(1980), al quale ha fatto seguire
l’Esortazione apostolica Familiaris consortio
(1981) su “I compiti della famiglia
cristiana nei tempi odierni”.
La Lettera conduce a ripensare la famiglia che, oggi come allora, nelle sue luci e ombre, è al centro della comunità ecclesiale e civile. Contrariamente alle indagini statistiche pessimistiche, la famiglia, fondata sul matrimonio, tiene bene ed è di gran lunga il modello più scelto e praticato. Sarebbe, tuttavia, irrealistico ignorarne la fragilità. Alla realtà di un’unione, destinata a sfidare e durare nel tempo, fanno riscontro crisi e fallimenti che si traducono in separazioni, divorzi con il cumulo di sofferenze affettive, familiari e sociali. Non è scontato che il matrimonio sia luogo di felicità e di pace, può trasformarsi in luogo di disagio, di mancanza affettiva, d’incomunicabilità e di egoismo dei singoli, luogo di alienazione e di smarrimento personale. Non può non preoccupare il fenomeno della violenza familiare che, come un iceberg occulto, fa la sua apparizione in proporzioni allarmanti. Tra altri problemi, la denatalità è un fenomeno vistoso nelle società occidentali ricche di beni, ma povere di bene. Le cause non sono riconducibili esclusivamente all’economia, all’organizzazione del lavoro e al deficit dei servizi sociali, sebbene abbiano un forte peso. Ma fino a che punto i cristiani e le comunità cristiane vivono il Vangelo della famiglia? Fino a che punto lo conoscono e lo considerano via alla costruzione della civiltà dell’amore dentro e fuori le pareti domestiche? O, al contrario, non lo considerano forse poco comprensivo dell’umano, intransigente e severo? Leggere la Lettera come fosse scritta oggi, significa ritrovare un pensiero che orienta il cammino delle famiglie: quelle riuscite e quelle che faticano a perseverare sulla strada dell’amore reciprocamente donato e ricevuto.
Il contenuto della Lettera si sviluppa
attorno a due titoli: La civiltà (o cultura)
dell’amore (nn. 6-17) che ha, nella
famiglia, fondata sul matrimonio, «il
cuore e il centro». In successione, il secondo
titolo, Lo Sposo è con voi (nn.
18-23). Con questa immagine biblica
(sposo) per parlare di Dio, «Gesù mostra
quanta paternità e quanto amore
si riflettano nell’amore di un uomo e
di una donna che si uniscono nel matrimonio
». In altre parole, il matrimonio
è una realtà umana, ma non è leggibile
unicamente ed esclusivamente
nell’orizzonte immanente, perché rinvia
oltre e richiama una realtà trascendente
che, per la cultura razionalista,
resta di difficile comprensione. Un serio
interrogativo attende risposta:
«Ma […]se alla famiglia non è aperta
la possibilità di partecipare al “grande
mistero”, che cosa rimane se non la sola
dimensione temporale della vita?
Resta la vita temporale come terreno
di lotta per l’esistenza, di ricerca affannosa
del profitto, di quello economico
prima di tutto» (n. 19).
L’amore è la parola chiave che guida l’intera riflessione. È il primo principio teologico: definisce e identifica chi è Dio (Dio è amore); è, conseguentemente, il primo principio antropologico: definisce chi è l’essere umano (creato a immagine e somiglianza di Dio che è amore); e anche il primo principio etico: l’amore definisce
il senso ultimo dell’agire umano
in ogni ambito della vita. L’amore
supera l’egoismo, si apre all’altruismo,
crea legami interpersonali, è dono
di sé all’altro, agli altri, all’Altro.
L’essere umano, uomo e donna,
«non può ritrovarsi pienamente se
non attraverso un dono sincero di sé»
(n. 11). L’amore umano prende forma
unica nel matrimonio tra un uomo
e una donna, e qualifica il loro essere
sposi, genitori, educatori, in una
integrazione continua e reciproca.
di amore», «alleanza coniugale», «unità
dei due», «dono che reciprocamente
si danno e ricevono». È questa la visione
del matrimonio emersa al concilio
Vaticano II in continuità/discontinuità
con il pensiero tradizionale che
l’aveva alquanto trascurata. Al riguardo,
è significativo il commento di un
filosofo laico, J. Dominian quando riconosce
che le Chiese sono passate a
descrivere il matrimonio in termini di
alleanza, di dedizione, di relazione e
così hanno raggiunto il nucleo centrale
dell’esperienza umana e il divino
mistero di questo rapporto.
L’amore umano, come donazione di sé nel tempo e oltre il tempo, qualifica la relazione tra gli sposi, è il movente e, insieme, il traguardo della realizzazione in pienezza: «Diventeranno una comunione-comunità». L’amore reciproco degli sposi è il senso, la finalità, il movente del matrimonio che fonda la famiglia. «La loro unità, tuttavia, anziché chiuderli in sé stessi, li apre a una nuova vita, a una persona» (n. 8). Dal matrimonio nasce la famiglia. La Lettera parla dell’inscindibile connessione tra essere sposi ed essere genitori. Non sono prospettive che si sovrappongono o si aggiungono l’una all’altra: tutto s’iscrive in una logica e dinamica di continuità e di reciproca integrazione. «I figli da loro generati dovrebbero – qui sta la sfida – consolidare tale patto, arricchendo e approfondendo la comunione del padre e della madre» (n. 7). Desiderare i figli e volerli per sé stessi, così che possano crescere in modo libero e responsabile, sono segni evidenti di un amore che include ma va oltre il bene proprio. Le coppie delle società d’Occidente, in realtà, non escludono i figli né li considerano alternativi alla loro autonomia e felicità. Basta pensare all’iter defatigante e dispendioso che intraprendono con il ricorso, se necessario, alle tecniche di fecondazione artificiale. Tuttavia, non si può negare «la tendenza a restringere il nucleo familiare entro l’ambito di due generazioni» (n. 10). Non è solo egoismo ed edonismo: si frappongono, infatti, molteplici cause, come mancanza del lavoro e della casa. Tuttavia, alla radice, molte coppie non esperimentano il figlio come un bene-valore, ma come un peso. «C’è poca vita umana nelle famiglie dei nostri giorni» (n. 10). La Lettera intuisce alcuni interrogativi: «Ma è proprio vero che il nuovo essere umano è un dono per i genitori? Un dono per la società? […]Certamente la nascita di un figlio significa per i genitori ulteriori fatiche, nuovi pesi economici, altri condizionamenti pratici: motivi questi che possono indurli a non desiderare un’altra nascita».
«Il figlio non è dunque un dono?
Viene solo per prendere e non per dare?
» (n. 11). Per risposta, la Lettera invita,
senza indulgere a contrapposizioni,
a un nuovo modo di pensare e mostra
come nessun altro bene-valore regge
a confronto con il bene-valore del figlio,
nella famiglia e nella società.
Come la generazione è compresa
nell’orizzonte dell’amore degli sposi,
così è anche l’educazione, che è generazione
che continua. C’è un nesso intrinseco
tra educare e generare: la relazione
educativa s’innesta nell’atto
generativo e nell’esperienza di essere
figli. La famiglia diviene comunità
educante nel suo essere famiglia, cioè
relazione che va dai genitori ai figli,
ma anche dai figli ai genitori: «Maestri
di umanità dei propri figli, essi la
apprendono da loro» (n. 16).
È un cerchio che si allarga: «Svolgono un ruolo singolare, da un lato, i genitori dei genitori e, dall’altro, i figli dei figli». Spesso la realtà, purtroppo, non si allarga, ma si restringe. La Lettera lamenta l’incresciosa situazione della sposa di essere spesso lasciata sola nella maternità e nell’educazione dei figli, e per di più di non essere considerata e stimata. Esige che il lavoro della donna sia riconosciuto anche economicamente, in quanto il suo lavoro non teme confronti con altri lavori e prestazioni. «La fatica della donna che, dopo aver dato alla luce un figlio, lo nutre, lo cura e si occupa della sua educazione, specialmente nei primi anni, è così grande da non temere il confronto con nessun lavoro professionale » (n. 17). La Lettera raggiunge un alto livello pedagogico nel considerare l’educazione come partecipazione alla pedagogia divina: «Se nel donare la vita, i genitori prendono parte all’opera creatrice di Dio, mediante l’educazione essi diventano partecipi della sua paterna e insieme materna pedagogia». Da qui «prende il via ogni processo di educazione cristiana che, al tempo stesso, è sempre educazione alla piena umanità» (n. 16).
La famiglia non è un’isola, vive nella
società. Tra famiglia e società c’è
un’inevitabile interdipendenza, in bene
e in male, nei valori e disvalori morali.
Sono molteplici i condizionamenti
negativi della società. La famiglia,
nelle società occidentali, è condizionata
pesantemente dalla spirale delle
cose e dalla pubblicità dove il primato
è dato alle cose. La civiltà contemporanea
sembra essere «una civiltà del
prodotto e del godimento, una civiltà
delle “cose” e non delle “persone”:
una civiltà in cui le persone si usano
come si usano le cose» (n. 13). E ritorna
più avanti: «La nostra civiltà che
pur registra tanti aspetti positivi sul
piano sia materiale che culturale, dovrebbe
rendersi conto di essere, da diversi
punti di vista, una civiltà malata,
che genera profonde alterazioni
nell’uomo» (n. 20). Anche il lavoro
(il troppo o lo scarso lavoro, i suoi ritmi)
condiziona la qualità della vita di
coppia e di famiglia. La famiglia è condizionata
da una mentalità individualista
che conduce a decidere secondo
calcoli di utilità e del proprio tornaconto:
al primo posto c’è l’individuo,
al secondo posto l’appartenenza alla
comunità, sia civile che ecclesiale. La
famiglia è condizionata da una mentalità
relativista, dove idee e comportamenti,
anche opposti e contraddittori
l’uno all’altro, sono messi sullo stesso
piano. Si rinuncia in partenza a cercare
quale sia la verità oggettiva.
La famiglia, in conclusione, per un complesso di fattori sociali e culturali, è indebolita nel suo essere «comunione di vita e di amore» non per una lotta fatta di scontri a livello ideologico, ma per un condizionamento culturale generale. Tra le cause, non si può ignorare l’incidenza negativa dei media quando si allontanano dalla verità della persona, della sessualità e dell’amore, diventando così fattori di nuove dipendenze e schiavitù. «Non portano a questa schiavitù “certi programmi culturali”? Sono programmi che “giocano” sulle debolezze dell’uomo, rendendolo così sempre più debole e indifeso» (n. 13). E ritorna più avanti: «Quale verità può esserci nei film, negli spettacoli, nei programmi
radio-televisivi nei quali dominano la
pornografia e la violenza». E afferma
con forza: «L’essere umano non è
quello reclamizzato dalla pubblicità e
presentato nei moderni mass media.
È molto di più, come unità psicofisica,
come tutt’uno di anima e di corpo,
come persona». (n. 20). La Lettera
riconosce, così, che «la famiglia si trova
al centro del grande combattimento
tra il bene e il male, tra la vita e la
morte, tra l’amore e quanto all’amore
si oppone. Alla famiglia è affidato il
compito di lottare prima di tutto per
liberare le forze del bene...Occorre
far sì che tali forze siano fatte proprie
da ogni nucleo familiare, affinché la
famiglia sia forte di Dio» (n. 23).
La Lettera, mentre registra il condizionamento
in negativo della società
e della cultura dominante, propone
con sicura speranza la famiglia come
umanizzatrice della società. La famiglia,
ambito di comunione e di partecipazione,
diventa scuola di socialità e
del più ricco umanesimo, luogo privilegiato
di umanizzazione e di crescita
delle relazioni. Il bene-valore della famiglia
è anche il bene-valore della società.
La famiglia è la prima cellula
della società, ancora di più è la prima
società, il primo soggetto sociale. Così
la famiglia è configurata come istituzione
naturale e sociale di base che ha
un rapporto di piena reciprocità con
altre istituzioni. «Al riguardo, la Santa
Sede ha pubblicato nel 1983 la “Carta
dei diritti della famiglia”, che conserva
anche ora la sua attualità» (n. 17).
«Alla fine della vita saremo giudicati
sull’amore» (n. 22). Con la citazione
di san Giovanni della Croce, la Lettera
invita a pensare al giudizio finale,
al termine della storia umana e cosmica.
Il giusto giudice è Gesù, «Sposo
dell’umanità e delle famiglie», come
viene denominato nella Lettera. «Il
suo sarà un giudizio sull’amore, un
giudizio che confermerà che lo Sposo
era con noi, senza che forse, lo sapessimo
»: era con l’affamato, con l’assetato,
con il forestiero, il nudo che abbiamo
rivestito... (Mt 25,34-36). A questo
elenco, la Lettera aggiunge coinvolgenti
applicazioni che riguardano direttamente
la vita familiare. «Potremmo
trovarci – scrive – anche espressioni
come queste: “Ero bambino non ancora
nato e mi avete accolto permettendomi
di nascere; ero bambino abbandonato
e siete stati per me una famiglia:
ero bambino orfano e mi avere
adottato ed educato come un vostro figlio”.
E ancora: “Avete aiutato le madri
dubbiose, o soggette a fuorvianti
pressioni, ad accettare il loro bambino
non nato e a farlo nascere; avete
aiutato famiglie numerose, famiglie
in difficoltà a mantenere e educare il
figlio che Dio aveva loro donato».
C’è, però, anche il rovescio: il giusto Giudice si identifica con chi aveva fame, sete, era forestiero, nudo, in carcere, ma non è stato accolto. Anche a questo elenco in negativo, si aggiunge: «Così egli si identifica con la moglie o il marito abbandonati, con il bambino concepito e rifiutato». E avverte che «“Il non mi avete accolto” di Cristo coinvolge anche istituzioni sociali, Governi e organizzazioni internazionali ».
La Lettera scrive sull’amore, che unisce
gli sposi, con fine e alta sensibilità
come nessun altro umanista potrebbe
fare. Entra in dialogo con le famiglie,
intuisce le domande e risponde non
solo con il ricordare doveri, ma con
l’annunciare possibilità e promesse.
Non si arrende alle solite obiezioni:
cosa si può pretendere dall’uomo e
dalla donna? La cultura è cambiata, la
Chiesa deve adeguarsi, altrimenti resta
tagliata fuori dalla storia, e verrà abbandonata
dai suoi figli. A partire dai
costumi praticati, ne propone uno da
praticare nella logica umana e cristiana
dell’amore, che è la ragion d’essere
sposi, genitori, educatori. Nell’orizzonte
dell’amore, la Lettera conduce a
unità l’intero discorso teologico ed etico
sul matrimonio e famiglia. L’etica
dell’amore non è senza norme, ma
queste trovano la sintesi e il compendio
nell’amore che, prima di essere comandato,
è donato dall’alto.
La Lettera raggiunge la famiglia così come è, perché diventi quello che ancora non è nel disegno di Dio. Vuole essere buona novella per le coppie che camminano speditamente, ma anche e soprattutto per quelle che faticano a intraprendere e a perseverare sulla strada del bene, del vero e del bello. La Lettera «mostra il tesoro della verità cristiana sulla famiglia» e, per questo, ricorda i grandi Documenti ai quali fa riferimento, ma subito confessa che le sole testimonianze scritte non bastano, sono necessarie le testimoniate vissute. «Ben più importanti sono quelle vive […]. È soprattutto ai testimoni che, nella Chiesa, è affidato il tesoro della famiglia: a quei padri e a quelle madri, figli e figlie, che attraverso la famiglia hanno trovato la strada della loro vocazione umana e cristiana». E aggiunge con soddisfazione: «Nella nostra epoca, come nel passato, non mancano testimoni del “Vangelo della famiglia”, anche se non sono conosciuti o non sono stati proclamati santi dalla Chiesa ». Il futuro della famiglia si fonda sulla Buona novella annunciata, ma soprattutto sulla Buona novella testimoniata da tante famiglie – la maggioranza – che vivono, nonostante prove e difficoltà, nella verità dell’amore, che è la vera e unica strada della felicità dentro e fuori la propria casa.