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venerdì 11 ottobre 2024
 
 

Wojtyla, la storia di un grande Papa

19/10/2011  In esclusiva con Famiglia Cristiana i due volumi della biografia di Giovanni Paolo II scritta da Andrea Riccardi. Un'offerta imbattibile.

Il numero di Famiglia Cristiana in edicola e quello successivo offrono a tutti una straordinaria esclusiva: la biografia di Giovanni Paolo II scritta dal professor Andrea Riccardi, storico e fondatore della comunità di Sant'Egidio, nonché personaggio del mondo cattolico italiano che seppe essere molto vicino al Papa polacco.

   

      Un'offerta straordinaria

     Giovanni Paolo II - La biografia
era apparso solo qualche mese fa in edizione originale per le Edizioni San Paolo. Il nostro giornale lo offre ora, al prezzo straordinario di 7,90 euro in più oltre al giornale, in una comoda edizione in due volumi, di facile lettura e agile consultazione. E' la storia più completa e autorevole della vita e del papato di Karol Wojtyla. Puoi richiederla in edicola, in parrocchia, al numero 02.48.02.75.75 o via e-mail all'indirizzo vpc@stpauls.it.

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Negli altri articoli, due anticipazioni dal volume di Riccardi.


I brani qui pubblicati
sono tratti dal volume
di Andrea Riccardi
"Giovanni Paolo II - La biografia"
(Edizioni San Paolo,
560 pagine, 24 euro).



Giovanni Paolo II è una grande figura del Novecento, di cui esprime appieno la storia. È anche un personaggio del Duemila: si è spento a nuovo secolo già iniziato e la sua eredità religiosa continua a essere un riferimento. Testimone del complesso crocevia polacco e protagonista della scena mondiale per 27 anni, è stato un personaggio decisivo della vicenda religiosa contemporanea, ma anche un leader che ha collocato la Chiesa nel cuore della storia. Ai suoi funerali sono accorsi i grandi della Terra, assieme a tanta gente. Un simile interesse per un Papa è rivelatore di come Giovanni Paolo II abbia rappresentato una personalità decisiva per la sua Chiesa, per i cristiani, ma anche sia stato un leader globale che ha toccato le fibre di tanti mondi. Una volta eletto Papa, nell’ottobre 1978, si è misurato con la crisi del cattolicesimo, con un Occidente secolarizzato e con un marxismo dai tanti volti. Tutti ricordano il suo primo messaggio: «Non abbiate paura!». Ha, infatti, creduto nella forza delle energie religiose e spirituali della sua Chiesa e dell’umanità, anche nel confronto con sistemi politici che avevano a disposizione “armi” di ben altro tipo e molto più potenti. Benedetto XVI mi ha detto di papa Wojtyla: «Veniva da un popolo sofferente, quello polacco, sottoposto a tante prove nella sua storia. Da questo popolo sofferente, dopo tante persecuzioni, si sviluppa la forza di sperare».

Karol Wojtyla ha rappresentato la “forza di sperare” agli occhi dei cristiani e dei suoi contemporanei. Una volta eletto Papa, questa forza si è confrontata con scenari sempre più vasti, spesso difficili e contrastati, in cui il Papa non ha avuto timore di immergersi. Non si è rassegnato al declino della Chiesa e del mondo religioso, previsto come inevitabile da parte consistente del pensiero del Novecento. Anzi ha intuito, in controtendenza, come le religioni in tutto il mondo conoscessero una rinascita, seppure complessa. Per più di 10 anni Giovanni Paolo II si è misurato con il comunismo, sino alla caduta del Muro. È stato un Papa “vincitore” nel confronto con l’impero sovietico a cui, negli anni ’70 e ’80, la maggior parte degli osservatori attribuiva una lunga vita. Quindi, Papa politico? Chi ha presente la dimensione spirituale, l’aspetto mistico e la preghiera di Wojtyla non può che dire il contrario: la fede è stato il cuore di un pontificato incentrato essenzialmente nella comunicazione del messaggio del Vangelo su tutte le latitudini. Eppure, Giovanni Paolo II era convinto che il cristianesimo rappresentasse una forza di liberazione dell’uomo e dei popoli: centrato sulla dimensione spirituale, il cristianesimo poteva giungere a trasformare in qualchemodo la storia delle nazioni. Questa è stata anche la vicenda della “liberazione” della Polonia dal comunismo, in cui il Papa ha giocato un ruolo di primo piano.


Nel 2003, ormai anziano e malato, Karol Wojtyla, rispettato dai leader di tutto il mondo, dice al corpo diplomatico radunato in Vaticano: «Ma tutto può cambiare. Dipende da ciascuno di noi. Ognuno può sviluppare in sé stesso il proprio potenziale di fede
. È dunque possibile cambiare il corso degli eventi». Questa è stata la sua fiducia. Certamente papa Wojtya, il “vittorioso”, conosce anche sconfitte e smentite: la guerra e la violenza (dall’Irak al Ruanda), il rifiuto del suo messaggio sulla vita, la resistenza ad accogliere la sua predicazione fin nella Polonia postcomunista. Ma sa che non esiste una vittoria stabile in un mondo complesso e globale. La sua vita è stata una lotta, vissuta con tenacia. La lotta è una dimensione essenziale per comprendere il suo ministero, ancorché vissuta con una sostanziale serenità. Karol Wojtyla ha operato su scenari differenti, dalla Polonia a Roma e al mondo intero. Tuttavia la sua storia non conosce forti fratture esistenziali, è abitata da una profonda continuità che viene dall’interiorità di credente e dalla sua intelligenza, sempre desiderosa di conoscere uomini e situazioni. Titolare di un alto magistero, sino alla fine resta interessato ad apprendere dall’incontro con gli altri. L’amico polacco Jerzy Turowicz afferma: «Per quanto sia il capo della Chiesa cattolica, un cittadino universale e un europeo, nondimeno non ha cessato di essere un polacco e un cracoviano».

Un cracoviano? Per comprendere la sua vicenda e l’impatto del suo pontificato bisogna ripercorrerne la biografia, che s’intreccia con vicende storiche quanto mai travagliate. Lo storico polacco Bronislaw Geremek ha così espresso una grande tradizione storiografica europea: «La storia è un misto di scienza e di poesia». Ricostruire la vicenda di Karol Wojtyla, lunga e articolata, richiede non solo «scienza » (e tanti archivi non sono ancora aperti), non solo capacità d’interpretazione e di narrazione, ma anche penetrazione nella cultura e nelle vibrazioni interiori del personaggio, nonché consapevolezza delle energie spirituali da lui messe in movimento. Ho sentito la responsabilità e la gioia di scrivere questo libro per la grandezza e il significato della figura di Giovanni Paolo II. Non si scrive, però, per fare un monumento, bensì per comprendere, per avvicinarsi a un personaggio e al suo tempo, per capire di più la storia della nostra epoca. Al termine di questo libro, consapevole della complessità della vicenda di Karol Wojtyla, del suo tempo e della sua Chiesa, faccio mie le parole del grande pensatore russo Pavel Florenskij: «Scrivo e so di disperdermi, perché non posso dire in una volta sola tutto ciò che si affolla nella mia coscienza».

                                                                                                  Andrea Riccardi


I brani qui pubblicati
sono tratti dal volume
di Andrea Riccardi
"Giovanni Paolo II - La biografia"
(Edizioni San Paolo,
560 pagine, 24 euro).



C’è un aspetto carismatico del pontificato legato ai viaggi e all’incontro con la gente. Spesso questi viaggi sono veri peripli tra diversi Stati. In tali occasioni Giovanni Paolo II presiede liturgie, incontra varie categorie di fedeli, le autorità politiche, i non cattolici, gli esponenti della cultura. Tiene numerosi discorsi. Riflette sulle caratteristiche del Paese, elaborando talvolta una specie di teologia della nazione. Molti sono stati i viaggi difficili. Un caso particolare è quello di Timor Est, ex colonia portoghese occupata dagli indonesiani, che non gradiscono la visita del Papa in una regione molto cattolica che reclama l’indipendenza. Arrivandoci nel 1989, Giovanni Paolo II non bacia la terra come fa abitualmente all’inizio di una visita in uno Stato e chiede che gli sia portato un crocifisso da baciare scendendo dalla scaletta dell’aereo. L’atto viene impedito dalla Polizia. Il Papa allora pretende di inginocchiarsi di fronte al crocifisso, una volta entrato in chiesa.

La vicenda dei viaggi di Wojtyla è un capitolo lungo, ancora da indagare. Un diplomatico italiano così descrive l’impatto del viaggio del Papa nel complesso Madagascar del 1989: «La sua presenza e la sua parola hanno avuto un’eco che, irradiandosi ben oltre la comunità dei cattolici (30 per cento circa), ha in qualche modo coinvolto l’intera popolazione malgascia. E ciò perché, in un Paese che soffre di emarginazione dal contesto politico ed economico internazionale il Papa ha saputo toccare corde sensibili dell’anima popolare, testimoniando la solidarietà della Chiesa universale, la sua partecipazione al dramma della miseria». Con il viaggio il Papa ridà dignità ai cattolici, facendoli sentire nel cuore della Chiesa e sotto i riflettori dell’attenzione mondiale. Altre volte dà dignità a un’intera comunità nazionale. I viaggi richiedono un’intensa preparazione organizzativa.

Il Papa spesso pronuncia i discorsi nella lingua del Paese. Grazie al polacco, ha una familiarità con le lingue slave, che riesce a leggere e in cui si esprime un po’. Parla il tedesco, appreso dal padre; ha studiato l’inglese a scuola; si muove sempre meglio con l’italiano, conosciuto nel primo soggiorno a Roma nel 1946; parla bene il francese. All’epoca dello studio di san Giovanni della Croce, ha letto i testi del mistico in spagnolo; prima del viaggio a Puebla si mette a studiarlo di nuovo. Lo stesso fa nel 1980, prima del viaggio in Brasile, con il portoghese. La sua capacità linguistica è forte, tanto che non teme di cimentarsi, magari solo imparando a leggere, con le lingue più diverse, come il giapponese. Ama molto, per Natale e Pasqua, fare gli auguri in tutte le lingue, in mondovisione, dalla loggia centrale di San Pietro.


La geografia è tutt’altro che secondaria per un Papa che ama sottolineare le varietà dei popoli. Tra l’altro tiene sempre a portata di mano un grande atlante con i nomi dei Paesi e delle diocesi, che guarda di tanto in tanto
. Attraverso il viaggio, Giovanni Paolo II vuole mostrare l’unità del mondo cattolico nella diversità, ma anche il suo interesse per differenti popoli e culture. Paolo VI, con l’avanzare dell’età, otto anni prima della morte, interrompe gli spostamenti fuori dell’Italia. Giovanni Paolo II non li sospende nemmeno quando è sfinito dalla malattia.

Continua a viaggiare con una tenacia rivelatrice di quanto le sue visite siano parte essenziale del “mestiere” di Papa. Nel 1980 in Zaire il Papa dice a questo proposito: «Pensano che il Papa dovrebbe viaggiare di meno. Dovrebbe stare a Roma come prima. È un consiglio che mi sento dare spesso, o che leggo nei giornali. Ma la gente di qui dice: “Ringraziamo il Signore perché sei venuto, perché puoi imparare a conoscerci soltanto venendo da noi. Come potresti essere il nostro pastore senza conoscerci?”. Questo mi conferma nella convinzione che è tempo per il vescovo di Roma di diventare il successore non soltanto di Pietro ma anche di Paolo, che, come ben si sa, non riusciva a star fermo un minuto ed era sempre sul piede di partenza».

È un’importante spiegazione dell’idea di viaggio di Giovanni Paolo II, espressiva del fortissimo bisogno spirituale e fisico di incontrare e di lasciarsi incontrare, di vedere e di farsi vedere, insomma di una comunione più sensibile. Non si può essere pastore senza conoscere ed essere conosciuto. Wojtyla ha detto: «La Chiesa, per mezzo del suo capo visibile, si cala nelle situazioni proprie delle varie nazioni, rispondendo così al desiderio vivissimo che nasce in seno a quelle nazioni». Il primo viaggio wojtyliano in America latina tocca tre Paesi: la Repubblica Dominicana, il Messico e le Bahamas. Il Papa affronta molte difficoltà, come è stato detto: nel Messico laico – così sembra – il presidente della Repubblica avrebbe ignorato la presenza del Papa. Il viaggio è, invece, un successo e costituisce un modello per i successivi. Wojtyla, a differenza di Montini (che quasi sempre non visitava i capi di Stato nelle residenze ufficiali, per sottolineare il carattere religioso della sua presenza), si reca a trovare le autorità negli edifici ufficiali. Il Papa lo fa per motivi di opportunità (così in Turchia), ma anche come omaggio alla nazione rappresentata dalle autorità.

                                                                                                  Andrea Riccardi

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«Karol Wojtyla, padre e profeta»
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