Giovanni Paolo II.
Le loro vite si sono
sovrapposte per 43 anni: dal 1920, anno della nascita di Karol
Wojtyla, al 1963 anno della morte di Angelo Roncalli. Adesso quei due
uomini eletti Papi in due Conclavi di ottobre, nel 1958 e nel 1978, a
distanza esattamente di vent’anni, per decisione del primo Papa non
europeo e del primo Papa che non ha partecipato al Concilio vengono
proclamati santi insieme.
Il gesto di Jorge Mario Bergoglio diventa un messaggio
chiaro sotto molti punti di vista. Lo è per la decisione e lo è
anche per la scelta della giornata in cui canonizzarli, quella
domenica della Divina Misericordia, che è il tratto specifico a cui
ispirarsi per capire e parlare al mondo contemporaneo, comprendere le
sue sfide, accompagnare le sue opportunità e darsi ragione dei suoi
pericoli. E’ questo tratto che ha distinto la vita e l’azione di
Roncalli e di Wojtyla ed è il messaggio che Papa Francesco intende
sottolineare.
L’altro tema, che la doppia canonizzazione intreccia,
è il Concilio Vaticano II. Per Bergoglio il Vaticano II è un fatto
acquisito, una tappa fondamentale della storia della Chiesa, un
traguardo raggiunto, ma che non mette fine alla corsa. Bisogna andare
avanti. Le discussioni che hanno impegnato gli esperti di esegesi
conciliare in questi anni passati a lui non interessano. Eppure ha
deciso di dire la sua, ma in un modo del tutto singolare, elevando
agli onori degli altari chi quel Concilio volle, spesso contro il
parere di altri autorevoli ecclesiastici del tempo. E soprattutto
come lo volle, cioè ecumenico, secondo l’idea che bisogna cercare
ciò che unisce e non ciò che divide e che la strada da percorrere
è, insieme, quella di essere migliori nella propria Chiesa e di
sviluppare rapporti amichevoli con le Chiese sorelle, perché il
Cristo è uno e il Vangelo pure.
Bergoglio poteva aspettare a
canonizzare Roncalli, poteva attendere la fine delle ricerche sul
secondo miracolo, che c’è e che si sta studiando. Ma non lo ha
fatto. Così il 27 aprile verranno sbaragliate anche tutte le
discussioni sul Concilio come momento di grazia oppure come errore
che scivola nell’eresia. La questione del Concilio è stata da
sempre parte integrante del dibattito sulla santità di Giovanni
XXIII. Fin dall’inizio, cioè alla fine dell’assise conciliare.
Alcuni vescovi si alzarono per chiedere che Roncalli fosse proclamato
santo subito dal Concilio ancora riunito per acclamazione. La
proposta non passò. Tra quei vescovi che fecero la proposta ce ne
era uno polacco monsignor Bohdan Bejze. Ricorda il cardinale Loris Capovilla che
dopo le parole di Bejze, due vescovi si alzarono dai loro seggi e
andarono pubblicamente a complimentarsi con monsignor Bojze. Uno era il
cardinale Stefan Wyszynski e l’altro Karol Wojtyla.
E’ un altro
cerchio che si chiude e un altro messaggio che arriva per decisione
di Papa Francesco. C’è poi quello che potremmo definire “immenso
magistero”, come ulteriore tratto distintivo della continuità e
della ragione della doppia canonizzazione. Roncalli lo ha fatto con
il Concilio, che ha aperto orizzonti infiniti. Wojtyla con 27 anni di
pontificato. Entrambi sono diventati “leader globali”, entrambi
hanno rimesso il fatto religioso al centro della propria epoca,
entrambi hanno costretto il mondo a confrontarsi con il Vangelo e a
ritenerlo un comune sistema di riferimento. Bergoglio ha ripreso i
fili lasciati in giro da loro e domenica 27 aprile li riannoderà in
piazza san Pietro.