In mezzo ai pali c’è l’altra faccia del pallone, la prospettiva rovesciata sulla partita. Le mani al posto dei piedi, i guantoni al posto degli scarpini, l’attesa invece della corsa. Il portiere è uomo solo, forse, di certo un uomo controcorrente. Eppure uomo-squadra: lo stesso identico umore ma la divisa di un altro colore, ultimo baluardo contro il cecchino. Dino Zoff, un carattere meno scabro di come lo si dipinge, scolpito nella pietra del Carso, racconta divertito il suo punto di vista sul pallone che ha avuto tante volte tra le mani, finché un giorno, in Spagna, 32 anni fa, s’è reso conto di aver afferrato un mappamondo.
Zoff è vero che il portiere è uno che voleva fare uno sport individuale?
«può darsi ma non lo sai prima. Uno inizia da piccolo, magari caratterialmente è portato a farlo, ma spesso non ha pensato che vorrebbe farlo. È tutto apparentemente più casuale. Non c’è così tanta consapevolezza, cominci, ti riesce, ti piace…».
Però è vero che ci vuole un carattere particolare, disposto alla responsabilità…
«Sei l’ultima spiaggia, puoi fare un errore, anche una papera, devi essere pronto ad assumertene le responsabilità, ad accettare le critiche che questo comporta. Ma è la vita».
Un portiere avverte la propria solitudine, visto che ha tempo di pensare mentre gli altri giocano?
«I tempi morti sono la cosa complicata, c’è il rischio di ruminare sugli errori. Devi essere abbastanza forte caratterialmente per non lasciartene condizionare: a volte fai una partita e magari prendi due gol senza colpa e senza aver toccato la palla. Rischi di rimuginarci e invece devi pensare soprattutto alla prossima occasione che ti capiterà, il guaio è che a differenza degli altri giocatori non hai possibilità di ricrearla. Mentre gli altri possono darsi da fare, correre di più, essere più aggressivi sull’avversario il portiere è condannato ad aspettare».
Lei ha giocato Mondiali da giovane ed è diventato campione del mondo a 40 anni. A gestire la pressione del portiere si impara o ci si nasce?
«Si impara, man mano che la posta sale e salgono le pressioni. Ma molto dipende dal carattere: c’è chi regge meglio e chi peggio».
Lo Zoff quarantenne aveva un’attrezzatura mentale più robusta rispetto a prima?
«Non direi che sia cambiato molto, è anche difficile fare confronti: le cose si presentano in stagioni diverse: a 40 anni, è vero, hai più esperienza ma sai anche che ti confronti con la tua ultima occasione: possono subentrare tensioni diverse in diverse fasi della vita».
Le difese ballano, si prendono parecchi gol… Quello in corso è un Mondiale da portieri? «Ma no, direi che i portieri lavorano nella media».
Casillas ha preso cinque gol all’esordio, possibile che abbia faticato a dimenticarli?
«Se fai un errore banale è più semplice, tutto si complica – e credo sia questo il caso – se gli errori dipendono da uno stato di forma non ottimale. Già in finale di Champions League non mi era sembrato al meglio».
Fa notizia il portiere del Messico, Ochoa: com’è?
«Molto reattivo, è stato prontissimo e ha fatto davvero due o tre cose fantastiche».
Sirigu ha sostituito bene Buffon, siamo ancora scuola di portieri?
«Direi che siamo scuola di portieri meno di prima, prima ce n’erano di più, abbiamo perso qualcosa, pur rimanendo ai vertici con Buffon. Sirigu sta facendo bene in Francia e ha fatto bene con l’Inghilterra è un uomo che dà garanzie».
Courtois, 22 anni, belga: è davvero il talento del futuro come dicono?
«Ha fatto un ottimo campionato quest’anno con il suo club, essendo giovane ha dei margini di miglioramento ma già così sta facendo molto bene».
A Dino Zoff è capitato di sentirsi particolarmente solo in mezzo ai pali?
«Il portiere è sempre solo per definizione. Non direi di averne mai sentito il peso, anche se è chiaro che ti ci senti di più quando le cose non vanno benissimo, ma fa parte del gioco».
Il portiere e il rigore: com’è quello strano gesto visto da lì?
«Una cosa semplice, il portiere ha poca responsabilità, che per una volta passa all’attaccante, “tenuto” a segnare. Il portiere può farci poco».
Ci sono gol cui ci si rassegna pensando, non ci si poteva arrivare?
«Qualcuno, ma dipende dallo spirito autocritico di ciascuno o forse dalla sua arroganza, se si sente responsabile su tanti».
Si è sentito responsabile spesso?
«Sì, ma per presunzione. Confesso».
La parata che le ha dato più soddisfazione?
«La più importante: l'ultima contro il Brasile al Mondiale di Spagna: difficile e decisiva. Ci ha portato a proseguire la corsa verso il titolo».
Roberto Baggio dice che quando rivede il filmato del rigore sbagliato nel 1994 sogna di vedere il pallone entrare. Ci sono scene in cui lei rivedendole spera di vedere il pallone uscire o fermarsi tra le sue mani?
«No. Parto dal presupposto che se non l’ho parato non ero nelle condizioni di farlo. Davvero, io quel sogno ricorrente, a rovescio, non ce l’ho».