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domenica 16 marzo 2025
 
 

Francesco, l'italiano d'Argentina

11/07/2014  A 16 anni, Francesco Serafino è stato tesserato dal Boca Juniors, squadra di Buenos Aires, una delle più titolate al mondo. Ecco la sua storia.

La finale del Campionato del mondo avrà uno spettatore speciale, da Buenos Aires. Argentina- Germania sarà vista anche dagli occhi sognanti di Francesco Serafino, 16enne cosentino di Fuscaldo, tesserato nelle giovanili del Boca Juniors, la squadra più prestigiosa della capitale e fra le più titolate al mondo, con Real Madrid e Milan.

Francesco Serafino, 16enne cosentino tesserato nelle giovanili del Boca Juniors.
Francesco Serafino, 16enne cosentino tesserato nelle giovanili del Boca Juniors.

- Francesco, come sei finito in Sudamerica?

“Mio padre Domenico è musicista, aveva un contratto di lavoro qui e l’ho seguito, mentre mamma Anna è rimasta in Calabria per non perdere il posto in una casa di riposo, così viaggia spesso, per venerci a trovare. Papà suona la chitarra nei concerti e compone con il piano, entrambi hanno 40 anni”.

- Sei diventato il primo italiano tesserato nel Boca dopo 52 anni: nel 1961, Nicola Novello partì, sempre dalla costa tirrenica della Calabria, e lasciò il segno come attaccante gialloblù.


“L’avevano ribattezzato Nicolas. E Maradona qui segnò 28 gol nell’81-82, prima di passare al Barcellona. Anche Gabriel Omar Batistuta è stato grande, in questo club”.

- Sei nato a Rho, nel Milanese, ma già a 2 mesi eri sceso al Sud. Dove hai giocato?

“A 5 anni cominciai nella Fuscaldo, a 10 ero alla Reggina. Brillavo sulle punizioni: ho sempre segnato parecchio, nonostante la bassa statura. Mi muovo in agilità, partendo da destra”.

- A 11 anni il passaggio alla Roma, la squadra del cuore.
“Come responsabile del settore giovanile c’è Bruno Conti, fondamentale per avermi fatto salire da Reggio Calabria. Apprezzo la tifoseria giallorossa, passionale come i sudamericani”.

Sembri un professionista affermato, hai persino un filmato che racchiude l’intera carriera…
“Inseguo il mio sogno. Sono emigrato a 12 anni, al club Parque e poi al mitico Argentinos Juniors, dov’era cresciuto Maradona. Amo proprio palleggiare, anche da solo, e l’ho fatto a lungo pure allo stadio Bombonera, a Baires”.

- Com’è la tua giornata tipo?
“Sveglia alle 6, ci alleniamo la mattina, a scuola vado al pomeriggio, dalle 17 alle 23,30: sono al terzo anno delle superiori e senza voti adeguati non mi riconfermano. In casa Amarilla, inoltre, non possiamo tenere accesi i cellulari: è il centro sportivo accanto allo stadio, dove faccio colazione con i compagni, pranzo e gioco”.

- Sino alla stagione scorsa ha vissuto nel quartiere Fuerte Apeche, dov’era cresciuto Carlitos Tevez.

“Nel barrio di Ciudadela avevo imparato il rispetto per tutti, anche in campo: sul sintetico regalato proprio da Tevez agli amici d’infanzia. Nelle partitelle i difensori picchiavano duro, mi è capitato di affrontare uno dei fratelli dell’attaccante juventino: l’allenatore non fischiava mai il fallo, io dovevo rialzarmi e inseguire l’avversario per rubargli nuovamente la palla. Questo esercizio serve per aumentare la garra, la rabbia agonistica”.

- Chi è il tuo modello?
“Ammiro ammiro Messi, Aguero, lo stesso Tevez. Anche Pirlo. I grandi giocatori, insomma. Cerco di apprendere qualcosa da ciascuno, un giorno vorrei debuttare con l’Italia”.

- Nel calcio argentino è l’unico italiano?
“C’è solo un 20enne, Simone Napoli, difensore centrale del Gimnasia La Plata, ex primavera della Juventus e del Torino. Sto facendo sacrifici che spero siano ripagati”.

- Lì come si vive la vigilia della semifinale?
“L'attesa è incredibile, questo Mondiale porta una passione impossibile da descrivere. Prima di ogni partita, si legge l’ansia negli occhi della gente. Al gol di Thomas Mueller per la Germania, con il Brasile, a Buenos Aires c’è stato un boato incredibile. Tutti contro i verdeoro, esiste una grande rivalità con i cugini. E così è stato anche per le 6 reti successive”.

- Un decennio fa, l’Argentina viveva una grande crisi. Si è ripresa?
“L'economia è migliorata notevolmente, la recessione si avverte meno rispetto all’Italia. Nel Fuerte peraltro ho visto la povertà ma pure solidarietà. E quando Tevez segnava un gol, esponeva le scritte “Fuerte Apache” o “Ciudad Oculta”, per il nostro orgoglio”.

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