Foto di Sérgio Moraes/Reuters. La foto di copertina è di Ueslei Marcelino/Reuters.
San Paolo, nostro servizio Ci sono mille modi per raccontare un paese - gli indicatori socio-economici, l'arte e lo stato della sua conservazione, la gastronomia, la politica, la tecnologia e, naturalmente, lo sport. Nei giorni a venire ci concentreremo soprattutto sulle storie di solidarietà, raccontandovi l’Altro Mondiale, quello dei poveri, degli indios e delle favelas. Nel caso del Brasile, nazione continente grande tre volte l’Europa, alla vigilia d’inizio Mondiali un modo originalissimo per descriverlo è però quello di usare il calcio e, nello specifico, le porte, strumento indispensabile per questo sport che muove miliardi ma di cui mai ci si occupa.
In Brasile le porte da calcio sono almeno 200mila e, naturalmente, non tutte hanno le misure regolamentari che nel 1875 furono scelte dalla federazione inglese di football. Né pali e traverse hanno un diametro massimo di 12 centimetri, come da regolamento.
No, in Brasile ce ne sono di minuscole dove di fronte ci sta a malapena un cane bassotto, di enormi i cui pali sono composti da tronchi, mentre altre ancora sono fatte con canne di bambù proprio come accadeva già migliaia di anni fa in Giappone e in Cina, i due paesi che per primi s'inventarono le porte.
Sérgio Moraes è un fotografo brasiliano che da inizio anni '80 segue Mondiali ed Olimpiadi e sa lavorare come pochi sulle immagini, raccontando anche l’aspetto sociale legato al mondo dello sport. Assieme ad altri colleghi della Reuters, proprio in occasione del Mondiale ha scelto di raccontare il suo paese attraverso gli scatti fotografici a porte da calcio di ogni genere e tipo, dimensione e struttura. Ognuna, naturalmente, immortalata non a se stante ma nel contesto che la circonda e che, più di mille parole, descrive alla perfezione come il Brasile di oggi sia in realtà non una nazione appena ma almeno dieci, venti o forse cento nazioni, tutte riunite in un unico mosaico multicolore e, proprio per questo, affascinante. Un paese unico ma disomogeneo, con sacche di povertà enormi ed ingiustizie che gridano vendetta, e che ha, come minimo comune denominatore, la passione per il calcio, o futebol.
Una porta di calcio in un campo allagato dall'esondazione di un affluente del Rio delle Amazzoni. Foto di Bruno Kelly/Reuters.
Porte sparse letteralmente dappertutto quelle immortalate da Sérgio, dal cuore dell'Amazzonia più inesplorata ai vigneti del Rio Grande do Sul popolati da discendenti di veneti, trentini e friulani, dai villaggi indigeni dove vivono oltre 200 etnie differenti un po’ ovunque - dal Nord di Manaus al Sud guaraní che confina con il Paraguay - alle favelas di tutte le grandi città a cominciare da San Paolo e Rio, dai campetti indoor sino alle spiagge superaffollate di Ipanema, Copacabana e Leblon, la mecca del turismo carioca dove alle porte da calcio si alternano sulla sabbia le reti dell'altro sport più amato dai brasiliani, il beach-volley.
Ci si accapiglia per gli arbitri, si discute dei sorteggi, della qualità di palloni e stadi, ma una strana cappa di omertà aveva dominato sinora questo spazio largo 7,32 metri ed alto 2,44 metri che sembra sterminato per i portieri quando si arriva alla roulette dei rigori e si stringe sempre di più di fronte all'attaccante terrorizzato di sbagliare un goal a porta vuota.
Una porta di calcio dalle dimensioni ridotte nel campetto ricavato all'interno della favela di Tavares Bastos, a Rio de Janeiro. Foto di Pilar Olivares/Reuters.
Sinora si erano spesi fiumi d'inchiostro e milioni di rullini fotografici per presentare nel minimo dettaglio i dodici stadi della Coppa - a proposito ieri c'è stato l'ultimo test per l'Itaquerão, la nuova arena costruita ad hoc a San Paolo che fa disperare non poco la Fifa per i ritardi nell'installazione delle tribune mobili - o per immortalare il nuovo pallone della finale, il Brazuca Final Rio che, di certo, sarà molto meglio della Jabulani.
Di fotografie - in questo caso dei calciatori delle 32 squadre che dal 12 giugno prossimo scenderanno in campo per contendersi il titolo - siamo stati inondati anche a queste latitudini dalla Panini, il cui album di figurine si è trasformato in un vero e proprio oggetto cult anche in Brasile, favelas comprese. Adesso Moraes ed i suoi colleghi hanno ovviato a questa lacuna e possiamo finalmente goderci i graffiti di Sao Francisco Xavier, quartiere della zona nord di Rio, che svettano dietro a una piccola porta sulle pareti scrostate di un casarão, una vecchia casa semi-abbandonata, o il Cristo Redentore immortalato da dietro la rete di una porta arrugginita su chissà quale spiaggia carioca.
E, ancora, il campetto incastrato tra le case abbarbicate una sull’altra della favela Tavares Bastos o due cavalli che occupano interamente lo specchio che dovrebbe essere difeso dal portiere nella favela appena “pacificata” do Maré, sempre a Rio. Che dire poi del campo della comunità di Botafogo, a pochi Km da Manaus, con la porta fatta di tronchi che, unica, riesce a svettare sopra le acque di un affluente del Rio delle Amazzoni che è esondato allagando il campo da gioco?
Immagini che lasciano senza fiato quelle del paese do futebol visto attraverso le porte.