Da Bahia all'Europa al ritmo delle percussioni. «Ventiquattro anni fa sono
arrivato a Parigi, volevo passare un po’ di tempo lì e poi tornare a casa. Ma
le cose sono andate diversamente. Dopo tre mesi sono andato a trovare un amico
a Milano. Avevo un volo di ritorno per il Brasile. Ma non l’ho più preso». Così
è iniziata la vita italiana di Kal Dos Santos, 59 anni, musicista, attore e compositore
originario di Salvador.
A Milano Kal comincia a lavorare in una
compagnia teatrale, in un teatro di periferia. «Conobbi due musicisti
brasiliani e lanciai l’idea di fondare un gruppo di percussioni
afrobrasiliane di strada. Loro mi dissero: “A Milano una cosa del genere
scordatela”. Eppure andammo avanti. All’inizio fondammo un trio. Pian piano
arrivarono i primi allievi. È nata così Mitoka Samba, la prima orchestra
di percussioni afrobrasiliane di strada in Italia».
Un progetto che riprende
le scuole di samba diffuse in tutto il Brasile ma radicate
soprattutto a Bahia, lo Stato più nero del Paese, che conserva viva e intatta
l’eredità africana, con il suo patrimonio di ritmi, danze, samba-reggae,
capoeira e candomblé, la religiosità importata dagli schiavi che, per
sopravvivere, si è mescolata con la fede cristiana assumendo nuove forme. «Mia
madre partecipava alle cerimonie del candomblé, io grazie a lei ho
coltivato fin da bambino questa cultura».
A proposito degli stereotipi sul
Brasile diffusi in Italia, Kal commenta: «Con i Mitoka Samba qualche volta
abbiamo problemi a fare spettacoli in certi posti perché, quando si parla di
musica brasiliana, tutti si aspettano le classiche ballerine brasiliane. Ma noi
non abbiamo un corpo di ballo e quel tipo di immagine del Brasile non ci interessa».
Kal ha una figlia di 37 anni, avuta in Brasile, che oggi vive in Italia; da un matrimonio con un'italiana 15 anni fa è nata la seconda figlia, Clara Luna, che segue le orme musicali del padre e spesso partecipa, come cantante, ai suoi spettacoli.
Nel suo Paese, prima di emigrare, Kal ha sempre lavorato come artista e
musicista: «Sono cresciuto in un quartiere popolare, mia madre aveva la
televisione in casa e faceva "il cinema" per tutti i vicini che non ce l'avevano. Io ho avuto la fortuna di
studiare fino all'università, pur essendo nero». Ma ammette che essere
un artista di colore nel suo Paese un tempo era molto difficile.
E spiega: «A Salvador io facevo parte del "Movimento nero". In
Italia non ho mai avuto problemi seri di discriminazione, ho sempre cercato di evitare qualunque situazione "rischiosa". Ma la verità è che non c’è
paragone con il razzismo che ancora oggi permea il Brasile. Basti pensare che a Salvador,
dove più del 90% della popolazione è nera, non c’è mai stato un sindaco di
colore. In Brasile c’è un detto: se vedi un nero che corre è un ladro, se vedi
un bianco che corre è un atleta».
Quanto al pallone, Kal ammette di non essere un appassionato: «Non
sono mai stato bravo a giocare. Quando ero piccolo mia madre me lo proibiva: nel quartiere popolare dove abitavamo giocare per la strada, a piedi nudi, era pericolosissimo. Al pallone io ho
sempre preferito la musica».