Come hanno evidenziato i fatti, come ha ammesso a caldo Cesare Prandelli dopo l’eliminazione dai Mondiali, il progetto tecnico della Nazionale è naufragato. Il Cittì e la dirigenza si sono assunti tutte le responsabilità: un gesto di coerenza che fa loro onore. Il fallimento della Nazionale va però letto in senso più ampio, perché ha tutta l’aria di essere il punto conclusivo di una lenta ma inesorabile agonia del nostro calcio che, come ci raccontano le più recenti e tristi cronache, non si limita alla sola sfera agonistica. Il meccanismo del “sistema-calcio-Italia" è in affanno ormai da tempo e necessita di un nuovo programma di ampio respiro; ancor più adesso di quattro anni fa, quando, all’indomani dell’eliminazione in Sud Africa, fu rifondata la sola Selezione Azzurra. La politica insegna che non esistono ricette per la vincere la crisi, però sarebbe miope (oltre che autolesionistico) non approfittare di questo momento di rinnovamento dei vertici per concepire e, soprattutto, avviare un "pacchetto di riforme” volto al rilancio. Ne abbiamo parlato con uno sportivo prestato alla politica, un campione che in nome della cultura sportiva non ha perso il vizio di tirare stoccate anche dopo aver abbandonata la pedana: l’olimpionico di fioretto e ora presidente del Coni Toscana, Salvatore Sanzo.
Nell’individuazione delle contromisure da prendere per contrastare il declino del nostro calcio esiste una ratio che ne stabilisca le priorità?
"Sono convinto che il primo investimento per ripartire vada indirizzato a livello culturale, puntando sull’aumento della pratica sportiva (qualificata) a scuola, cui abbinare una maggiore attenzione agli aspetti educativi dei settori giovanili, non a caso un tempo definiti “Scuole-Calcio”. Per sintetizzare con uno slogan: più sport nella scuola, ma anche più scuola nello sport. Il civismo è da sempre il mio miglior antidoto al cinismo. Nel mio piccolo, da presidente del Coni Toscana sto lavorando a fianco della Regione, dell’Università degli Studi di Firenze e dell’Ufficio Scolastico Regionale per avviare un progetto oneroso e strutturato, il primo in Italia, per ristabilire il giusto equilibrio tra i due mondi della scuola e dello sport. Le resistenze sono importanti, ma l’obiettivo è improrogabile".
Non le sembra una soluzione troppo a lungo termine e, soprattutto, troppo distante dal calcio che vediamo in Tv?
"Assolutamente no, perché garantire attenzione alle future generazioni significa adottare (finalmente) una lungimirante attenzione alla persone in senso completo, alle loro qualità umani e tecniche".
Siamo nell’epoca della “rottamazione”?
"Prendiamo il coraggio per dare più spazio all’espressione dei giovani, imponiamone il coinvolgimento per regolamento. Prendiamo una delle poche note positive della spedizione brasiliana, Verratti, classe 1992: è uno dei pilastri del Paris Saint Germain, ha giocato fino ai quarti di Champions al fianco di grandi campioni, ha prospettive di crescita ancora importanti. Questa esperienza ad alti livelli, unita al suo talento innato, lo porteranno sicuramente a diventare una colonna della Nazionale a venire".
Ok, ma gli altri?
"Il problema è che lui rappresenta una mosca bianca. Da noi l’incultura del risultato, che fa abortire ogni progetto di prospettiva, è un deterrente al lancio dei giovani. Nel volley, dove esiste il Club Italia, ovvero la selezione delle giovani promesse che la Federazione fa partecipare ai Campionati appena al di sotto della A1, i ragazzi si abituano a vestire la maglia Azzurra fin da piccoli e con continuità e naturalezza. E i risultati sportivi tra "i grandi" si vedono".
Forse è solo provocazione, ma perché non importare questo modello anche nel calcio?
"Si selezionino i migliori talenti fino ai 20 anni e si facciano giocare in Lega Pro per confrontarsi con calciatori “fatti”, esperti e smaliziati. A quel punto avrebbero più chance di giocare titolari in A una volta tornati nei club di appartenenza".
Non pensa che sia necessario fare qualcosa anche a livello di grandi Club?
"Non scopro certo io la perdita di competitività della serie A. Ci sono gli annuali aggiornamenti del Ranking Uefa a ricordarcelo con severità. Purtroppo in questo caso la strada è solo una, e non è nemmeno agevole: aumentare la capacità di generare ricavi. Al vertice internazionale si torna solo con l’aumento del fatturato e del giro d’affari. Ma questa è un’altra storia, fatta di calcoli e portafogli, che merita il tempo di un’altra intervista".