Abbracci e lacrime tra David Luiz (a sinistra) e Thiago Silva (Reuters).
Diciamoci la verità: pur esclusi, e anzi un po' più apertamente proprio perché esclusi, avremmo accolto con un sorriso un'eventuale, ennesima eliminazione delle Panzerdivisionen tedesche sulla soglia di una finale. Con una sola considerazione a trattenerci: l'eccesso di lacrimazione dei giocatori del Brasile.
Perché anche qui, diciamoci la verità: che barba che noia (omaggio a Sandra Mondaini) tutti quei campioni o presunti tali costantemente piangenti, che avessero vinto, pareggiato o perso. Il giovane miliardario lagnoso no, scusate, proprio no.
Dicono: è la pressione, dover assolutamente vincere di fronte al popolo e alla nazione. Ma siamo sicuri? A noi consta che un bel po' di brasiliani fosse indifferente, se non ostile, a questo Mondiale finanziato anche con energiche sforbiciate a scuole, ospedali e trasporti pubblici. Un Mondiale contestato fino all'ultimo da porzioni non secondarie della società brasiliana.
La tensione? Mah... Nel Brasile dal modesto talento complessivo spiccano giocatori che di tensioni ne hanno già vissute molte. David Luiz, difensore più riccioluto che forte, è appena passato dal Chelsea al Paris Saint Germain per 50 milioni di euro, la cifra più alta mai pagata per un difensore; ha vissuto finali e semifinali nei campionati e nelle Coppe più prestigiosi d'Europa; insomma, come calciatore, è adulto e vaccinato. Vederlo con la lacrimuccia, accuratamente mostrata in favore di telecamera, non ha destato alcuna solidarietà, semmai un po' di irritazione.
Altrettanto sperimentati sono poi campioni veri come Thiago Silva e Neymar, i grandi assenti della disastrosa semifinale contro la Germania, o Marcelo, che gioca nel Real Madrid dal 2006 e quest'anno ha vinto la Coppa dei Campioni e la Coppa del Re, mica bruscolini.
Non s'era mai visto che una Nazionale dovesse ingaggiare in tutta fretta uno psicologo perché i suoi giocatori piangono troppo spesso. L'abbiamo visto per la prima volta con il Brasile. E non è servito a nulla. Per fortuna. Perché il calcio, anche a questi livelli, è ancora un gioco. Chi gioca meglio spesso vince. E chi piange troppo facilmente torna dalla mamma.
A fronte dei suoi deboli eroi, ha fatto un figurone l'allenatore Felipao Scolari. Che avrà sbagliato tutto, come ora dicono in molti, nel preparare la squadra o nell'affrontare la Germania. Ma con quella sua aria rubiconda da pizzicagnolo in trasferta non ha versato una lacrima ma si è preso tutte le responsabilità. Facendolo però con un'aria giusta. Col tono un po' di dire: possibile che non abbiate niente di meglio da fare?