Mani alzate, sorrisi stravolti, Coppa puntata al
cielo. Vittorio Pozzo, Enzo Bearzot, Marcello
Lippi, colti nell’attimo del trionfo. E poi quel
lungo elenco bianco su fondo blu. L’infinita
lista dei ct, da che Nazionale è Nazionale: ciascuno
corredato con data di inizio e di fine
mandato. Dai muri di Coverciano guardano
tutti lui, Cesare Prandelli, l’ultimo della lista,
fresco di rinnovo, l’unico con solo la data del calcio
d’inizio: dal 2010 a data da destinarsi.
E tutti i predecessori
sulle spalle. Ci sarebbe di che sentirsi tremare le vene ai
polsi, adesso che il Mondiale è qui e che si parte davvero.
Ma Prandelli è Prandelli e ha deciso che – per quanto si vada
a casa dei più forti sulla carta – la paura non è di questo
mondo. Pardon, di questo Mondiale.
Sa per esperienze, ben più dure del pallone, che la vita
prende e dà e ha deciso di prendersi tutto il bello, di fare
collezione di attimi. A chi gli chiede del suo sogno brasiliano
risponde così: «Non ci vogliamo perdere nulla, ci dobbiamo
godere tutto minuto per minuto. La preparazione è
già cominciata da tanto, mentalmente e dal punto di vista
organizzativo, ma ora siamo nel pieno e io continuo a dire
ai miei giocatori che quella che andiamo a fare è un’esperienza
meravigliosa, da vivere con entusiasmo straordinario. Deve essere un sentimento
contagioso, perché partiamo per un’avventura
stupenda. Ci manca solo che ci
avvitiamo nelle preoccupazioni. Dobbiamo
arrivare preparati ma non stressati:
andiamo a giocare a calcio con i migliori
al mondo, mica a lavorare».
Sia chiaro, Prandelli è professionista
serio, sa che il suo è un lavoro sempre
sotto la lente, ma vorrebbe tanto dire
a quei ragazzi in azzurro che stanno
portando in Brasile il sogno di una vita
del bambino Cesare, che toccava il cielo
con un dito solo per aver conquistato la
maglia delle giovanili della Cremonese
e adesso non sta più nella pelle.
Ripete che quel sogno, che tutti loro
hanno cullato da piccoli, adesso se lo devono
leccare come il gelato più buono del
mondo, perché il talento è un regalo che
non capita a tutti e giorni da leoni così sono
un privilegio della meglio gioventù.
Pensieri inconsueti, per lo standard
medio di un ritiro per tradizione
in assedio permanente effettivo, ma
così è la vita al tempo di Mister Cesare
I, che pure da ct all’esordio mondiale
ha un’idea precisa dell’Italia che
vorrebbe: «Una squadra che sa stare in
campo contro tutti, capace di soffrire,
senza perdere la consapevolezza che
può giocarsela con chiunque: questo,
secondo me, un allenatore deve sognare
a occhi aperti. È chiaro che non
si improvvisa, non ti svegli una mattina
e dici: adesso vado a fare chissà
che. Ci si prepara ma un po’ di sano
ottimismo aiuta».
Sono lontani anni luce i tempi degli
interminabili ritiri bunker: gli azzurri
chiusi dentro una stanza e tutto il mondo
fuori. Prandelli d’accordo con la
squadra ha immaginato un Mondiale a
misura di famiglie: «Abbiamo deciso
dopo l’esperienza dello scorso anno in
Confederations con i familiari al seguito:
abbiamo capito che la presenza della
famiglia placa le tensioni, perché a
chi ti vuol bene e ti conosce basta uno
sguardo. Non c’è bisogno di tanti discorsi.
Nei momenti importanti avere attorno la tua bolla di affetto ti può aiutare.
E poi ci sono i bambini: niente come
la loro spontaneità ti costringe a
mettere da parte le tue ansie».
Sia chiaro, serve equilibrio tra ordine
e caos: «La lista dei divieti non è nel
mio stile, preferisco responsabilizzare
le persone, a partire dalla consapevolezza
che il comportamento sopra le righe
di uno danneggia tutta la squadra».
Impossibile non chiedere se anche
il ct abbia bisogno di affetti vicini o se l’ontologica solitudine del ruolo sia irrimediabile
come dicono, a dispetto di
un sentimento che – ormai lo sanno
tutti – s’è affacciato alla sua vita.
Prandelli
risponde, con quel sorriso timido,
che è la finestra sul mondo del suo
Dna: «Anche il ct ha bisogno degli affetti
(ride) però poi, per ruolo, sei solo
per definizione: solo nelle tue decisioni,
solo nelle tue riflessioni e solo nel
momento in cui devi dare spiegazioni.
Però aiuta sentire che intorno tutti sono
e si sentono al posto giusto».
Adesso il posto giusto di Prandelli è
su una caldissima panchina brasiliana,
da cui spera di alzarsi lontano nel tempo
ma vicino al calcio dei suoi desideri:
«Uno spettacolo cui si assiste per passione
come a un concerto, dove si può accettare
che un avversario sia stato più
bravo, ma solo dopo aver dato fino
all’ultima goccia, in una squadra in cui
ciascuno abbia fatto prevalere il “noi”
sull’io. E lo dico prima a me stesso».
Dopodiché vinca il migliore. Anche
se, il ct non lo nega, 3 punti con l’Inghilterra
farebbero piacere. E comodo.