Per Javier Zanetti questo è il secondo Mondiale da spettatore. Nel 2010 in Sudafrica il ct Maradona non convocò né lui né Cambiasso, reduci dalla trionfale stagione del triplete con l’Inter di Mourinho. Un duro colpo per il Capitano che con 145 partite disputate è il giocatore che vanta il maggior numero di presenze nella storia della Selecciòn Albiceleste con la quale ha giocato due volte la finale della Coppa America (2004 e 2007) e due quella della Confederations Cup (1995 e 2005).
Quest’anno, a maggio, Zanetti ha detto addio al calcio giocato. Ora lo aspetta un futuro da vicepresidente dell’Inter, la squadra della sua vita. La Pinetina di Appiano Gentile, dove lo incontriamo, è deserta. Gli occhi del mondo sono puntati sul Brasile dove l’Argentina, con un Messi in grande spolvero, ha esordito battendo 2 a 1 la Bosnia nel mitico Maracanà di Rio e poi ha ribadito la vittoria, sia pure con più fatica, contro l'Iran. Sempre con un gol della Pulce.
Che Mondiale sarà, Capitano?
«Molto equilibrato e difficile. Credo che l’Argentina possa arrivare molto in fondo anche se non è facile. Poi c’è il Brasile che aspetta questo momento da anni: poter vincere davanti alla sua gente».
E l’Italia?
«Non sono pessimista come tanti tifosi, può fare molto bene».
È il tuo secondo Mondiale che guarderai in poltrona. Che differenza c’è con il 2010?
«Le sensazioni sono molto diverse ovviamente. Ho indossato la maglia della Nazionale per moltissimo tempo, è una cosa unica e so cosa si prova giocare un Mondiale. Continuerò a fare il tifo per il mio Paese con grande forza».
Perché, nonostante le offerte di grandi squadre come Barcellona e Real Madrid, hai preferito restare all’Inter? Magari avresti vinto anche di più...
«Non lo so, non credo. Lavorare in una grande società come l’Inter mi ha reso fiero e orgoglioso. Dopo di che ho sempre messo nella bilancia la felicità mia e della mia famiglia e l’Inter mi ha dato sempre questa felicità».
Sei argentino, l’Inter non è la squadra della tua città: cosa ti ha spinto a farne la tua causa?
«Il Dna della squadra, il fatto di essere una grande famiglia. Al di là della qualità che uno può avere come calciatore, l’Inter va oltre e guarda alle persone, all’essere umano. E questo non si trova in tutte le società».
Come si supera il 5 maggio? Ti sei sentito più grande nelle sconfitte o nelle vittorie?
«Queste sofferenze in passato ci hanno reso ancora più forti e ci hanno messi nelle condizioni di poter superare ogni ostacolo e difficoltà fino a vincere tutto quello che abbiamo vinto».
Se non fossi stato Javier Zanetti, chi ti sarebbe piaciuto essere?
«Di sicuro, qualunque persona che possa rendere felice chi ha più bisogno».
Javier Zanetti è un idolo per moltissimi. Ma chi sono gli idoli di Javier Zanetti?
«Mio padre Rodolfo per la vita che ha visuto insieme a me, per come mi ha educato e cresciuto».
Nella tua vita di sportivo quanto conta la fede?
«Molto, fin da piccolo da quando i miei mi portavano in chiesa. Sono molto credente».
Hai scritto che ogni squadra ha il suo Dna. Quello dell'Inter qual è?
«Quello del non mollare mai in qualsiasi partita e in qualsiasi momento».
Pensi che il calcio, nonostante tutti gli scandali e i problemi, possa ancora trasmettere dei valori?
«Sì, lo sport è un veicolo straordinario perché è in grado di veicolare tante cose positive: il rispetto, l’onestà, la lealtà. Sono tutti valori che ognuno di noi cerca di trasmettere ai propri figli».
Qual è, secondo te, il tratto più tipicamente argentino di papa Francesco?
«La sua semplicità, l’essere vicino alle persone. È quello che è piaciuto a tutto il mondo. La sua umiltà fa sì che tante persone credano di più e ascoltino i suoi messaggi».
Peraltro ti ha affidato l'incarico di organizzare la partita interreligiosa della pace.
«Sì, ha avuto quest’idea e la stiamo organizzando con un’altra fondazione del Vaticano. Si terrà all’Olimpico di Roma il 1° settembre. Sarà molto importante per il messaggio: unire tutte le religioni per la pace, credo sia una bella iniziativa».
Come è stato l’incontro con il Papa?
«Fantastico, unico ed emozionante. Con me c’erano i miei bambini e Paula. Abbiamo parlato di tutto, della mia fondazione Pupi che aiuta i bimbi più poveri di Buenos Aires. Poter condividere quel momento con il Papa è stato fantastico. Lui è molto tifoso del San Lorenzo, una squadra molto importante in Argentina, ama lo sport e ha molte idee».
È vero che ti ha recitato la formazione del San Lorenzo che vinse lo scudetto nel '46?
«Sì, certo. Ha una grande memoria (ride,
ndr)».
Qual è il pensiero che fai la sera prima di addormentarti?
«Mi piace pregare sempre e soprattutto chiedo la salute per la mia famiglia: Paula, mia moglie, e i miei figli»
Io sono uno dei migliaia di tifosi interisti che ha pianto vedendoti commosso la sera del Bernabeu quando l’Inter ha vinto la Champions League. Che effetto ti fa sapere che tanti tifosi interisti come me hanno pianto?
«Di sicuro è una grande emozione questo legame d’affetto, d’amore, di stima che si è creato con i tifosi nerazzurri. Non smetterò mai di ringraziarli per tutto quello che mi hanno dato in questi anni, sono cose che vanno al di là delle vittorie e delle partite, non si comprano. Un affetto vero che uno te lo dà perché ce l’ha dentro. Non avrei potuto chiedere di più».
Nel calcio conta di più il talento o il sacrificio?
«Senza sacrificio non si ottiene niente, anche se sei un fuoriclasse. Il talento può magari servirti per una singola partita o un periodo, alla lunga però non ottieni niente».
Qual è la vittoria più bella della Fondazione Pupi?
«Un bambino in difficoltà di Buenos Aires che non aveva i genitori e che noi abbiamo aiutato da quando aveva 6 anni. Adesso ne ha 16 anni e si è offerto da solo, senza che nessuno gli dicesse nulla, di fare il volontario con noi. È un bel risultato, una rinascita… Poi c’è una ragazza che non sentiva e camminava con difficoltà e ora, grazie alla nostra assistenza, sta facendo enormi progressi».
Con quale allenatore ti sei trovato meglio all’Inter?
«Bene con quasi tutti, soprattutto Simoni, Cuper e Mourinho, con loro c'era un rapporto umano che andava al di là del campo di gioco. Quello con cui non mi sono trovato bene è stato Marco Tardelli perché avevamo opinioni differenti».
Il compagno di squadra più simpatico?
«Taribo West, non c'è dubbio».