Il carrozzone del campionato sta
per ripartire, il gran circo del calcio
ha cambiato l’impresario e il capocomico.
Ce la farà a cambiare copione,
anche se gli acrobati sono
pochini e tentati da altri lidi? Abbiamo
chiesto a Paolo Rossi impressioni
sulla stagione in arrivo.
- Tavecchio presidente federale, Conte
ct, Allegri alla Juve, Balotelli all’estero.
Sarà un campionato “nuovo”?
«Vedremo: condivido la scelta di
Conte ct, mi pare la migliore possibile.
Ma a far la differenza saranno come
sempre i giocatori in campo e al calcio
italiano occorrerebbe più di tutto una
bella sfornata di campioncini».
Ne vede qualcuno all’orizzonte?
«Mattia Destro mi piace molto, ha
sfiorato il Mondiale per un soffio: mi
aspetto da lui un grande campionato.
Anche Berardi del Sassuolo ha fatto bene:
diamogli tempo di maturare».
- Pochi e solo italiani?
«Preferisco osservare loro, del resto
dall’estero non sono arrivati acquisti
eclatanti. Non abbiamo le possibilità
del Real, del City, del Bayern o del Psg:
volano cifre enormi, si pensi a Bale al
Real per 110 milioni lo scorso anno. Chi
può permettersi cifre così?».
- È un buon segno che acquistino anche
italiani come Verratti?
«È segno che alcuni sono appetibili
su altri mercati, ma le nostre squadre
spesso se li lasciano scappare: Giuseppe
Rossi aveva giocato benissimo al Parma,
perché nessuno si è fatto avanti prima
che lo scovasse il Villareal?».
- Con la Juve in spending review e la
Roma in campagna acquisti vedremo
più equilibrio?
«Forse sì. Credo molto nella Roma:
le squadre non nascono in una stagione,
hanno bisogno di una gestazione di
4-5 anni per crescere dal punto di vista
della mentalità vincente. La Juve resta
la più forte sulla carta, ma potrebbe patire
un fisiologico appagamento: restare
tre anni al comando mantenendo gli
stimoli non è facile. Il Napoli è cresciuto.
Se ci fosse anche la Fiorentina ancora
meglio. Le milanesi soffrono un po’.
Di certo, rispetto al passato, il divario
tra le prime e le piccole è cresciuto».
- Perché diciamo di voler copiare dai
vivai spagnoli e poi non lo facciamo?
«Sarebbe importante sviluppare il
settore giovanile, a patto di sapere che
non a ogni generazione nascono, com’è
stato in Spagna, nidiate da 6-7 campioni
del mondo. È vero, però, che noi prendiamo
troppi giocatori da fuori».
- Le regole europee non consentono
tetti agli stranieri, come rimediare?
«In Europa società come il Borussia
Dortmund e l’Atletico Madrid fanno politiche
intelligenti: acquistano giovani,
li valorizzano e li vendono. I bilanci restano
sani e se qualcuno intanto cresce
bene arrivano pure i risultati: non sarebbe
il caso di imitarle?».
- Club e Nazionale hanno interessi
contrastanti: dov’è l’equilibrio?
«Nel tentativo di mediare tra le esigenze.
Non è facile. Ma è vero che una
Nazionale capace di risultati continuativi
indica un movimento in salute».
- A questo proposito la Germania ha
mostrato un modello da studiare?
«Sì: una squadra con giocatori solidi,
un piacere da vedere. Noi facciamo
drammi, se fossimo più razionali studieremmo
quello che fanno gli altri».
- La crisi è anche di valori: si muore
ancora per una partita. Si fa qualcosa
di concreto o se ne parla solo?
«È un problema di cultura sportiva:
altrove non si va armati allo stadio e
non si schierano migliaia di agenti a
ogni giornata di campionato. A proposito,
quanto ci costa tutto questo?».
- Dovremmo chiederlo alle società
che coltivano rapporti con certi tifosi.
«Coltivare forse non è la parola giusta:
non è che li accettino volentieri,
ma, insomma, fanno buon viso a cattivo
gioco. Qualche presidente si sforza
di opporsi, ma bisognerebbe essere tutti
d’accordo».
- Abolite le sanzioni sulla discriminazione
territoriale, sono ricominciati
i cori contro il Napoli...
«Forse non era giusto che pagassero
tutti per 20 imbecilli, ma credo che bisognerebbe
essere un po’ più duri con certi
comportamenti. Prendiamo a esempio
gli inglesi con gli hooligans: si individuino
i responsabili e li si punisca con
severità. Invece di fare sempre gli italiani,
aspettando la prossima tragedia».
- Il calcio resta un collettore di emozioni:
il 1° settembre si gioca la Partita
della pace voluta dal Papa. I messaggi
positivi passano nonostante tutto?
«Per fortuna sì, il calcio è ancora
una passione universale, la sua capacità
di mobilitazione attorno a temi solidali
è aumentata rispetto ai miei tempi,
ma c’è bisogno di recuperare un po’
di immagine: nel calcio si parla troppo
di soldi e in tempi di crisi certi eccessi
riescono incomprensibili all’opinione
pubblica. In passato c’era un po’
più di poesia, dobbiamo recuperarla».
- A ogni Mondiale si cerca un nuovo
Paolo Rossi. Che cos’è cambiato rispetto
al suo calcio?
«Non chissà che, c’è solo meno spazio.
Ma anch’io, ai tempi, sono andato
in B, al Vicenza: un giovane per maturare
deve giocare. I campionati sulle panchine
non fanno crescere».
- Dopo una vita nel calcio, che cosa
la appassiona ancora?
«Vedere le partite, i giocatori che si
impegnano, il bel gesto tecnico. Ma con
un po’ di sano disincanto».