Si fa presto a dire Leonardo: senza neanche aggiungere il Da Vinci ci si materializza davanti l'icona di un vecchio calvo e barbuto e ci arrivano in sequenza davanti agli occhi le sue opere più famose, dalla Gioconda che attira al Louvre come null'altro al mondo, alla Dama con l'ermellino, non meno delle avveniristiche macchine esposte al museo della Scienza e tecnologia a lui intitolato a Milano. Ma chi era davvero Leonardo Da Vinci, che cosa sappiamo della sua storia? E quanto è "storica" la serie Tv che ora ce lo racconta?
Figlio illegittimo del notaio Ser Piero Leonardo nasce a Vinci (oggi un comune di circa 15.000 abitanti nella città metropolitana di Firenze) nel 1452. Nel 1469 è portato dal padre a Firenze, dal 1472 risulta iscritto alla Compagnia dei pittori. Nel 1476, quando i documenti lo danno prosciolto da un’accusa di sodomia (è l’unico guaio con la giustizia accertato nella sua biografia, non risultano vicende legate ad omicidi), Leonardo si trova nella bottega di Andrea del Verrocchio, ma è noto che abbia frequentato anche quella del Pollaiolo per gli studi di anatomia in particolare. La vita privata resta avvolta nel mistero (la figura di Caterina da Cremona, che compare nella serie Tv romanzata in onda su RaiUno dal 23 marzo 2021, è completamente inventata). Dal 1478 Leonardo lavora da solo, il suo genio e il suo prestigio sono riconosciuti ovunque anche se non sempre è facile per chi gli è accanto seguirlo nella varietà dei suoi interessi, nel 1482 approda alla corte di Lodovico il Moro a Milano, che conosce in quell’epoca il suo massimo splendore rinascimentale. Leonardo vi giunge inviato pare come musico da Lorenzo il Magnifico, dato che lascia intendere un aspetto della caleidoscopica poliedricità del genio di Vinci, testimoniata anche in una sua lettera al Moro in cui si accredita come capace inventore di congegni bellici, architetto, pittore, scultore. Arti che tutte esercita a Milano, dove è anche scenografo e organizzatore delle feste di corte, fino al 1500 anno della caduta del Moro.
UN LUNGO PEREGRINARE
Dopo brevi percorsi a Mantova e Venezia, Leonardo torna a Firenze, dove un testimone contemporaneo dice di lui «pareva vivere alla giornata». Un’impressione, quella di una certa dispersività, che doveva essere diffusa tra i contemporanei di Leonardo, se è vero che Giorgio Vasari, il biografo degli artisti, lo raccontava da giovane così: «Sarebbe stato molto abile se non si fosse dimostrato così volubile, perché s'imponeva sempre d'imparare una moltitudine di cose la maggior parte delle quali poi abbandonava dopo poco tempo».
Nel periodo fiorentino riceve commesse dal re di Francia Luigi XII, tra il 1502 e il 1503 è al servizio di Cesare Borgia, noto come il Valentino. Gli scritti lasciati da Leonardo ricordano in quell’epoca il suo peregrinare tra Marche e Romagna, dove si dedica a studi di idraulica, fortificazioni, ponti. Torna a Firenze, si occupa di pittura, ma anche di ingegneria civile e militare, comincia a studiare il volo. Si sposta più volte tra Firenze e Milano, studia canali navigabili, anatomia, botanica, ma patisce alcune incomprensioni da parte dei suoi mecenati e degli artisti del suo tempo.
Quando nel 1513 chiamato dai Medici Leonardo arriva a Roma, già vi prosperano Raffaello e Michelangelo da lui profondamente influenzati a Firenze nel primi anni del Cinquecento ma ormai nel pieno della loro personale e matura espressione artistica. Leonardo resta escluso dal cantiere di San Pietro e dalla decorazione dei palazzi vaticani, vive appartato. Anche se Raffaello gli renderà omaggio ritraendolo nei panni di Platone al centro della Scuola di Atene. Nelle carte di Leonardo si legge l’amarezza: «I Medici mi creorno e mi destrusseno» (Treccani, voce Leonardo), mi hanno fatto e disfatto. Nel 1517 Leonardo si rifugia in Francia dove ha ancora contatti, per tre anni è pittore di corte di Francesco I che gli dà una sorta di pensione e una residenza nel castello di Cloux (Amboise), dove Leonardo resta fino alla morte nel 1519: la Gioconda, frutto di una lunghissima elaborazione iniziata a Firenze nei primissimi anni del Cinquecento, è ancora lì con lui.
L'ARTISTA
Vasari racconta di un Leonardo giovanissimo che supera il maestro Verrocchio fino a convincerlo, per inadeguatezza, ad abbandonare il pennello: è un dato probabilmente inattendibile, una delle tante coloriture vasariane, ma rende l’idea della precocità e di un talento non comune. L’attitudine allo studio e la curiosità intellettuale, rivolta a tante diverse discipline, fa di Leonardo, in embrione precocemente e compiutamente nella maturità, un artista diverso da quelli del suo tempo, a cavallo tra il razionalismo spaziale quattrocentesco e il Rinascimento maturo: la conoscenza anatomica e lo studio della fisiognomica danno alle sue scene sacre un’intensa connotazione psicologica, e ai suoi ritratti una capacità espressiva non comune; lo studio della natura dà ai suoi paesaggi una naturalezza sconosciuta agli stereotipi di chi l’ha di poco preceduto: i suoi spazi abbandonano la rigidità prospettica (di cui pure conosce i segreti approfonditi a Milano nel reciproco confronto con Bramante) per armonizzarsi in continuità con le figure che vi si muovono e vi si esprimono. Diversa da quella del suo tempo la sua concezione dell’arte, fondata sull’esperienza in aperta polemica con la speculazione neoplatonica: «...a me pare che quelle scienze sieno vane e piene di errori, le quali non sieno nate dall’esperienza madre di ogni certezza, o che non terminano in nota esperienza, cioè che la loro origine, o mezzo, o fine, non passa per nessuno dei cinque sensi».
IL MITO DEL CENACOLO E DELLA GIOCONDA
Il cenacolo, pur presto degradato quando Leonardo è ancora in vita, è un capolavoro di psicologia con gli Apostoli colti nell’attimo di inquieta sorpresa serpeggiante alle parole del Cristo: «In verità vi dico, uno di voi mi tradirà», mentre tradizione voleva che si raffigurasse il successivo versetto di Matteo: «Colui che intinge la sua mano nel piatto insieme a me mi tradirà». Dallo studio della natura e della luce nascono le morbidezze di Leonardo, la texture diventata leggendaria nell’atmosfera sfumata della grotta della Vergine delle rocce: «Delle ombre», scrive come a dare una lezione di pittura, «tu non discerni i limiti, e non le farai precise perché la tua opera non sia di legnosa risoluzione». Se la Battaglia di Anghiari, rara commessa pubblica, del periodo fiorentino, è la massima, cruda, espressione del naturalismo di Leonardo, la Gioconda è il punto di arrivo della teoria delle ombre sopra descritta: una tessitura così consapevole che dà al ritratto, già misterioso per molte ragioni, l’espressione enigmatica, ulteriormente criptica, che la rende, più di quanto non lo sia la Dama con l’Ermellino, l’icona dell’arte italiana nel mondo. Non sappiamo chi sia la donna del Ritratto di dama al balcone, nota a tutti come la Gioconda, che si tratti di Monna Lisa moglie del mercante fiorentino Francesco del Giocondo è un’illazione vasariana probabilmente infondata, cosa che ne accresce l’enigma e l’interesse, nonché la stupefacente fortuna postuma anche pop.
LA FORTUNA POP DEL MAESTRO
La fortuna postuma di Leonardo, genio riconosciuto anche dal proprio tempo, si alimenta definitivamente all’epoca dell’Ottocento romantico «Nel corso dei secoli», si legge nella Storia dell’arte italiana diretta da Bertelli, Briganti e Giuliano, «e soprattutto nell’Ottocento romantico, è stata plasmata di lui un’immagine mitica che ha confuso gli effettivi lineamenti della sua personalità. Tale immagine ha tratto alimento dal mistero di cui Leonardo ha voluto circondarsi, apparendo nel giudizio dei contemporanei come un mago, “piuttosto filosofo che cristiano" lo definì Vasari; ma è derivata soprattutto dall’originalità e complessità della sua stessa opera». Di quell’immagine risentiamo tuttora, è per il suo frutto che ritroviamo Leonardo e le sue opere rivisitati in mille modi, divertiti, divertenti, irriverenti, in pubblicità, dove la Gioconda ha cambiato pettinatura; nell’arte contemporanea, dove ha subito lo sberleffo dei baffi da Duchamp ed è finita ingrassata da Botero; ma anche al cinema: si pensi a quale genio sarebbe servito per inventare un treno, in anticipo sulla storia, seguendo le improbabili istruzioni di Benigni e Troisi, in Non ci resta che piangere. Una confidenza con il genio che continua oggi attualizzata nei murales del mondo e nei “meme”, le fotine ironiche rilanciate su whatsapp, che portano la Gioconda e il Cenacolo a sdrammatizzare i giorni bui della pandemia. Di cui qui trovate un assaggio.