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martedì 21 gennaio 2025
 
Personaggi Tv
 

Massimiliano Ossini: «Alleniamo i bambini al catechismo quanto allo sport»

17/11/2017  Il conduttore di “Mezzogiorno in famiglia” parla del figlio Giovanni che va a catechismo per prepararsi a ricevere la prima comunione

Massimiliano Ossini chiede di spostare di qualche ora il nostro appuntamento perché deve finire di raccogliere le olive con il figlio Giovanni nella tenuta agricola che ha ad Ascoli Piceno: «Gli ho detto che da 15 chili di olive si ricava un litro d’olio per fargli capire quanto lavoro c’è dietro e quanto sia importante non sprecarlo. Sono le cose che mi hanno insegnato quando ero scout. Una esperienza che, insieme al catechismo, è stata cruciale nella mia formazione: siamo come piante che vanno innaffiate bene fin da piccole per poter poi resistere alle tempeste della vita».

L’anno prossimo Giovanni farà la Prima Comunione: «È emozionatissimo», dice il conduttore di Mezzogiorno in famiglia, il programma in onda al sabato e alla domenica mattina su Rai 2 che racconta i piccoli e grandi Comuni d’Italia. «Le sue sorelle grandi l’hanno già fatta e quindi sa quello che accadrà. Ha paura di non ricordarsi l’Atto di dolore…».

E a catechismo va volentieri?

«Non tanto, a differenza delle sorelle che da questo punto di vista sono avvantaggiate perché vanno a scuola dalle suore. Al sabato mattina una suora legge loro il Vangelo e quando poi al pomeriggio andavano a catechismo facevano una specie di sfida tra loro su quello che avevano ascoltato. Ma non è un problema del catechismo: anche a scuola Giovanni fa fatica a star seduto ad ascoltare qualcuno che parla».

Forse è proprio questo il problema. Tanti bambini vivono il catechismo come se fosse una lezione scolastica: tante cose da imparare, ma non la gioia dell’incontro con Gesù…

«Sì, è vero. Se un bambino torna a casa e non ti sa dire ciò di cui si è parlato ma ti confida che si è annoiato per tutto il tempo, c’è qualcosa che non va. Ma non credo sia solo un problema di formazione dei catechisti che tra l’altro, nel nostro caso, sono gli stessi per tutti i miei figli. Da piccolo io andavo a catechismo, frequentavo l’oratorio, facevo lo scout e la domenica andavo a Messa. Incontravo più volte gli stessi adulti e gli stessi bambini, con cui condividevo dubbi e curiosità. Oggi invece molti vanno a catechismo un’ora a settimana e tutto finisce lì. E io mi chiedo: se è considerato normale far fare sport a un bambino anche tre volte a settimana per irrobustire il suo fisico, perché non si dedica la stessa cura anche alla sua crescita spirituale? In palestra vedi i muscoli crescere, vedi i canestri che fai, ma se non “alleni” pure lo spirito è difficile che un bambino si soffermi a riflettere sul suo posto nel mondo e sul senso della vita. Per questo sono convinto che sia necessario andare a catechismo anche tre volte, coinvolgendo magari di più i genitori».

Che però spesso sono i primi a considerare il catechismo dei figli solo come un obbligo formale…

«Anche questo è vero. Vedo tanti genitori che dopo la Cresima dei figli dicono: “Ci siamo liberati di questo peso, ora ci rivediamo per il matrimonio”. Con queste premesse, poi è logico che un adolescente, che vede i genitori come degli esempi da seguire, si allontani dalla vita della parrocchia e spesso anche dall’esperienza religiosa. Però mi ricordo sempre le parole di Giovanni Paolo II sul fatto che se la gente non va più in chiesa è la Chiesa che deve andare a riprendersi la gente».

Prima con Linea Verde e adesso con Mezzogiorno in famiglia e con Linea Bianca, che riprenderai il 9 dicembre, ha avuto modo di conoscere bene la realtà dei piccoli Comuni. C’è un modo diverso di vivere la spiritualità rispetto alle grandi città?

«Se abbiamo bisogno di trovare cento persone per un programma, è molto più facile in un paesino di montagna che a Roma o a Milano, perché lì basta andare in parrocchia. C’è un modo di vivere la fede molto più intenso. Faccio un esempio: in città si è quasi completamente persa l’abitudine di ringraziare Dio prima di un pasto. Nei piccoli centri, sarà anche per il contatto più ravvicinato con la natura, invece è più facile trovare persone anche giovani che lo fanno. Ricordo una puntata di Linea Bianca. Dovevamo salire su una montagna. Durante il tragitto mi sono messo a riflettere con le persone che mi accompagnavano sulla bellezza dei luoghi che vedevamo e quando sono arrivato in cima, mentre ero in onda, mi è venuto spontaneo farmi il segno della Croce».

Foto di Ignacio Maria Coccia

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