È conosciuto come il patrono dei migranti. Capì per primo che l’immigrazione non è un’emergenza ma un fenomeno della modernità che la globalizzazione ha solo accentuato. Giovanni Battista Scalabrini, il vescovo di Piacenza che sul finire dell’Ottocento fondò le Congregazioni dei Missionari e delle Missionarie di San Carlo con la specifica missione di servire i migranti, sarà canonizzato in autunno dopo la dispensa, da parte di papa Francesco, dalla prassi del riconoscimento del secondo miracolo, come avvenuto per Giovanni XXIII.
La notizia della canonizzazione coincide con l’Anno scalabriniano aperto il 7 novembre scorso dai superiori dei tre istituti della Famiglia Scalabriniana, oggi presente in trentaquattro Paesi del mondo, con l’obiettivo di far conoscere meglio questa figura. «Il beato Scalabrini univa la spiritualità a una profonda visione profetica», dice padre Mario Toffari, vice postulatore per Europa e Africa della causa di canonizzazione.
Papa Francesco ha deciso la dispensa dal secondo miracolo per la canonizzazione. Cosa significa questa scelta?
«La procedura normale della canonizzazione di un beato prevede che dopo la beatificazione vi sia un secondo miracolo. Il Papa può dispensare dal secondo miracolo quando vi sia testimonianza che il beato è ritenuto santo dalla gente e quando la sua canonizzazione sia particolarmente significativa per la Chiesa. In fondo, beatificazione e canonizzazione sono un atto del magistero per additare ai cristiani dei modelli di vita da imitare e seguire. Sappiamo quanto la situazione dei migranti e rifugiati stia a cuore a papa Francesco. In Scalabrini ha voluto additare un modello di vescovo che ha saputo percepire la rilevanza delle migrazioni per la società e la Chiesa e si è dedicato alla loro evangelizzazione fondando due congregazioni missionarie. Le lettere postulatorie di cardinali e vescovi, le testimonianze di molte persone che sentono di aver ricevuto una grazia attraverso l'intercessione di Scalabrini, la fede di tantissimi pellegrini che sulla sua urna hanno lasciato una testimonianza di quanto sentano Scalabrini vicino a loro hanno costituito per i cardinali e vescovi della Congregazione delle cause dei santi e per il Santo Padre una prova sufficiente della santità di Scalabrini, per cui il papa ha provveduto alla dispensa dal secondo miracolo».
Qual è l'attualità della vita e del messaggio di Scalabrini?
«La sua spiritualità congiunta con un’accentuata capacità di visione profetica. Convinto che l’incarnazione di Dio in Gesù Cristo è in funzione di fare dell’uomo il Figlio di Dio, Scalabrini scende nel concreto delle realtà della vita, come Vescovo attento al catechismo e alla parola di Dio, alla carità per tutti, senza distinzione, alla riappacificazione dei cristiani, divisi dalla Questione romana, alla promozione della partecipazione dei laici alla vita civile, sociale e politica. Un esempio di profezia è nel suo libretto Il socialismo e l’azione del clero. Di fronte alle condizioni dei lavoratori, nel 1899, lo Scalabrini scrive: “Vedendo tutte quelle miserie mi pareva che il male non provenisse tanto dalla volontà dei singoli, quanto dal modo con cui il lavoro era organizzato e pensavo fosse un bene per tutti poter trovare delle condizioni più eque. Se il lavoro avvalora il capitale, perché non dovrà avere una più larga compartecipazione agli utili, tanto da assicurare al lavoratore vitto sufficiente, sano e sicuro? Se il lavoro è una legge fisica e un dovere morale, perché non dovrà diventare un diritto legale? Se l’istruzione è un dovere, perché non si lascia il tempo all’operaio di istruirsi, limitando l’età e le ore di lavoro? Se l’igiene è un obbligo sociale, perché si permettono, senza dovute cautele, lavori che avvelenano e accorciano la vita? Se l’integrità personale e la previdenza sono due conquiste della civiltà moderna, perché non si assicura, contro eventuali disgrazie, la vita del lavoratore, e non si provvede in maniera decorosa alla sua vecchiaia impotente?”».
Quest'anno ricorre l'anno scalabriniano che si concluderà il prossimo novembre. Il tema scelto è: "Fare patria dell'uomo il mondo". Qual è il significato?
«Il beato Scalabrini, innamorato della sua terra comasca e ancor più della sua diocesi piacentina, era un uomo del Risorgimento e la sua patria, l’Italia, a lui era cara per le sue tradizioni e per la sua lingua, mezzi previlegiati per la trasmissione della fede cattolica. Ma la patria, per lui, non poteva essere definita dai confini tracciati dall’uomo e definiti, ieri, con i fili spinati e, oggi, anche con i muri. Riecheggiando la celebre affermazione della Lettera a Diogneto del secondo secolo dell’era cristiana, secondo la quale per i cristiani “ogni regione straniera è la loro patria, eppure ogni patria per essi è terra straniera” arrivò ad affermare il suo ideale: “Fare patria dell’uomo il mondo”. Del resto questa è la promessa di Dio, quando, alla fine dei tempi ci dice che apparirà “una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua” (Ap. 7,9). “Fare Patria dell’uomo il mondo”, un sogno destinato a diventare realtà».
In che cosa mons. Scalabrini è stato anticipatore sul tema dei migranti visto che oggi è uno dei temi più scottanti dell'attualità e anche della pastorale?
«Indubbiamente la sua attenzione alle migrazioni è il culmine della sua pastorale al di là dei confini diocesani. Scalabrini parte da considerazioni sulla situazione dei "suoi" piacentini, che gli evidenziavano il dilemma vitale, di fronte alla carenza di lavoro: “O rubare o emigrare”, o degli abitanti degli Appennini che affidavano i minori a chi li portava in altri paesi per salvarli dalla fame; condannava la brutalità degli “arruolatori”, da lui definiti mercanti di carne umana, che caricavano senza scrupoli gli emigrati sui piroscafi, “stivati peggio di bestie, in numero assai maggiori di quello che permetterebbero i regolamenti e la capacità dei piroscafi letteralmente ammucchiati, con quanto danno della morale e della salute ben può ognuno immaginarlo”. Furono anche i saluti inviatigli, sempre dai suoi piacentini attendati sulle rive dell’Orinoque, che invocavano sacerdoti perché lì “si viveva si moriva come bestie”, ad accelerare la fondazione della Congregazione dei Missionari Scalabriniani. Ma Scalabrini non si ferma qui: egli per primo capisce che le migrazioni sono un fatto strutturale e per questo coinvolge non solo Piacenza, ma tutta la società civile, sociale e politica nella ricerca di soluzioni idonee al rispetto degli emigrati. Per questo gira tutta l’Italia per convincere i responsabili della società ad intervenire celermente e in modo appropriato. Finché ci sarà una parte, piccola, del mondo con la stragrande maggioranza delle ricchezze e un’altra parte, grande, con poche risorse a disposizione non è che quest’ultima si fermi a dire: “Beati loro che sono nati in una terra ricca!”. In questo senso possiamo dire che le migrazioni sono una delle più grandi alternative alla guerra. Non è un caso che lo Scalabrini, nel suo viaggio negli USA, venga ricevuto dal Presidente degli Stati Uniti».
Scalabrini fu uno dei primi a studiare il fenomeno migratorio nella Chiesa. A quali risultati giunse?
«Credo che il pensiero di Scalabrini nel campo delle migrazioni raggiunga il culmine, quando egli arriva all’intuizione che le migrazioni fanno parte della natura umana, sono, per così dire, regolate dalla legge naturale. Lui si esprime così: “Emigrano i semi sulle ali dei venti, emigrano le piante da continente a continente portate dalle correnti delle acque, emigrano gli uccelli e gli animali, e, più di tutti emigra l'uomo, ora in forma collettiva, ora in forma isolata, ma sempre strumento di quella Provvidenza che presiede agli umani destini e li guida, anche attraverso a catastrofi, verso la meta, che è il perfezionamento dell’uomo sulla terra e la gloria di Dio nei cieli”. Proprio a causa delle migrazioni forzate dalle persecuzioni la Chiesa superò i confini di Gerusalemme e di Israele e divenne “cattolica”; grazie alle migrazioni di oggi la Chiesa sarà strumento di pace e di comunione tra i popoli».