Ilda Boccassini sa che le storie delle persone si misurano a fatti non a parole. E infatti parla pochissimo, lo stretto necessario per illustrare i punti chiave di un'indagine che fa notizia per il solo fatto di esistere.
L'ha fatto questa mattina a Milano alla presenza del Procuratore capo di Milano Edmondo Bruti Liberati, del procuratore capo di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone e del collega reggino Michele Prestipino, ha parlato dello sconcerto di aver preso coscienza, indagando, «di una campagna politica per ingraziarsi l'antimafia, che non esiste, che è solo parlata. Una campagna proveniente da chi sa che cosa significa trovare un bazooka sotto casa».
Evidente il riferimento alle minacce che nel 2010 hanno raggiunto Pignatone. Evidente, senza bisogno di citarlo, l'allusione a Vincenzo Giglio, arrestato ieri, noto per la sue iniziative antimafia e per la solidarietà pubblica espressa al procuratore minacciato. La vicenda è descritta così dall'ordinanza del Gip: «allo scopo di accreditarsi nei confronti dei magistrati della Dda di Reggio Calabria, il Morelli (consigliere regionale arrestato ieri ndr), approfittando del momento e anticipando gli altri esponenti politici regionali, chiede a Vincenzo Giglio di preparare una mozione a sostegno dei magistrati di Reggio Calabria impegnati nella lotta alla 'ndranghetà».
Perché, quando si tratta di 'ndrangheta, il nemico è subdolo e vicino, abita luoghi insospettabili, stanze contigue a quelle di tutti, siano essi avvocati, magistrati, imprenditori, tanto che si è parlato di talpe, per stanare le quali «ci sono lavori in corso anche a Milano». Il nemico può insediarsi ovunque, non ha preferenze, pecunia non olet e il colore politico neppure: «Non è come Cosa nostra, che odiava i comunisti», ha spiegato Boccassini, «è trasversale, appoggia chiunque».
Va dovunque ci siano affari redditizi. E così, facendo affari redditizi con chiunque, facendo fuori la concorrenza pulita, con molte complicità silenziose, di chi non si chiedeva da dove venissero certi prezzi troppo vantaggiosi per stare nel mercato, si è infiltrata indisturbata nell'economia apparentemente sana. Così, il 416 bis, l'articolo del codice penale che delinea il reato di associazione mafiosa, è diventato pane quotidiano della cronaca anche lombarda: «Con la struttura organizzativa della 'ndrangheta», ha spiegato Prestipino, «si estendono anche le sue relazioni esterne: Milano può diventare come Reggio Calabria».
Non sono notizie rassicuranti, lo è invece sapere che c'è chi non si arrende anche quando andare avanti comporta la fatica scomoda di cercare la polvere fin sotto il tappeto di casa propria. E un po' rassicura sentir dire, com'è accaduto stamani, che non ci si abitua nemmeno dopo averne viste, in trent'anni indagini, di tutti i colori.
Elisa Chiari
Il difficile viene quando il bianco e il nero sfumano nel grigio, quando la rete delle complicità si infittisce fino a sembrare inestricabile e il confine tra Stato e antistato, tra nornalità e criminalità, tra economia e malaffare, non si vede più nitidamente.
Di questo vive la mafia, di questo terreno di coltura si alimenta la 'ndrangheta con il suo potere tentacolare. Lo sa bene chi da una vita lavora a segare tentacoli. Lo diceva giusto due sere fa, in una libreria milanese, Nicola Gratteri, procuratore della Dda di Reggio Calabria che qualche settimana fa aveva chiesto 118 condanne al maxiprocesso scaturito dall'indagine Crimine al momento in attesa di sentenza: «Milano ha una percenzione ritardata di 10 anni di ciò che le sta accadendo in tema di infiltrazioni di criminalità organizzata». Pensava alla città, non al tribunale ovviamente.
Altre 110 condanne le hanno ottenute in primo grado infatti proprio a Milano 10 giorni fa Paolo Storari e Alessandra Dolci, coordinati da Ilda Boccassini, quasi mille anni di galera per le cosche infiltrate al nord e, per dirla con Gratteri, per quelli che «hanno aperto loro le porte». Era solo l'inizio. La zona grigia, la più difficile da stanare, quella per cui le prove diventano liquide, difficili da portare all'evidenza, era ancora sottotraccia. Quale sia il pericolo l'aveva spiegato bene agli studenti di Milano nel maggio scorso Ilda Boccassini, in una delle rare uscite pubbliche, citando Giovanni Falcone: «Le prove devono essere pesanti, un'indagine che non regge in aula è una vittoria della criminalità organizzata».
Ieri mattina, però, le prove hanno avuto un esito deflagrante, la zona grigia è venuta alla luce, un'ordinanza del Gip ha convalidato 10 arresti chiesti da Ilda Boccassini, capo della Direzione distrettuale antimafia di Milano: è scattata la custodia cautelare per avvocati, medici, politici, finanzieri, magistrati. L'ordinanza descrive la zona grigia così: una «vera e propria ragnatela di relazioni inestricabili e connesse, in cui tutti prendono e danno qualcosa».
Sono finiti in manette tra gli altri: il giudice Vincenzo Giglio, presidente in Corte d'Assise a Reggio Calabria (avrebbe favorito un esponente del clan Valle-Lampada insediato in Lombardia), suo cugino, Vincenzo Giglio, medico (per concorso esterno in associazione mafiosa), l'avvocato Vincenzo Minasi (per concorso esterno in associazione mafiosa, rivelazione di segreti d'ufficio, intestazione fittizia di beni, reati aggravati dalla finalità di favorire la 'ndrangheta), il consigliere regionale Pdl della Calabria Franco Morelli (per concorso esterno in associazione mafiosa, rivelazione di segreti d'ufficio e corruzione), il maresciallo capo della Guardia di Finanza Luigi Mongelli (per corruzione). Altri arresti riguardano esponenti delle famiglie Lampada e Valle.
Una rete di contiguità inquietanti addirittura confinanti, se fosse confermato che, mentre da una parte la Dda di Reggio Calabria indagava, dall'altra parte altri giudici del medesimo Tribunale tessevano relazioni pericolose. Relazioni che fanno intervenire a caldo l'associazione nazionale magistrati: «I fatti che emergono dagli atti d'indagine della Dda della procura della Repubblica di Milano nei confronti anche di magistrati in servizio in uffici giudiziari calabresi appaiono oggettivamente gravi e suscitano sconcerto e indignazione», sostiene L'Anm, «Al di là di ogni valutazione sul merito delle accuse non si può ignorare l'inquietante rete di relazioni tra appartenenti all'ordine giudiziario, pubblici amministratori ed esponenti della criminalità organizzata che emerge dalle indagini».
Siamo alle indagini, vale la presunzione di innocenza, serve la conferma dell'aula. Ma se Milano aveva bisogno di un risveglio di consapevolezza, l'ha avuto.
Elisa Chiari
Un uomo di calibrata prudenza come Mario Draghi, all'epoca ancora governatore della Banca d'Italia, denunciava a marzo: "In Lombardia l'infiltrazione delle cosche avanza, come ha recentemente avvertito la Direzione nazionale antimafia". In realtà, le cosche in Lombardia appartengono quasi per intero alla 'ndrangheta calabrese.
Lo conferma il sociologo Nando dalla Chiesa, docente di sociologia della criminalità organizzata all'Università degli Studi di Milano: "La forza iniziale di Cosa nostra è stata soppiantata dalla 'ndrangheta. Come si fa a dire quanto sia estesa la sua infiltrazione a Milano e in Lombardia? Credo che la sintesi più efficace l'abbia fatta la Procura nazionale antimafia, quando ha detto che ha il monopolio nel ciclo del cemento: questo già dà la misura della sua forza, dell'ampiezza degli interessi collegati e anche delle conseguenze".
"In parte contesto anche il termine 'infiltrazione', perché per certe province e in certi settori si tratta di colonizzazione", continua dalla Chiesa. "I più esposti sono smaltimento dei rifiuti, ristorazione, divertimento. La pressione è anche sulla grande distribuzione, specie sui centri commerciali, sui lavori pubblici e, per quello che si può capire, anche sulla sanità".
In questi casi ci si interroga sull'estensione di una "zona grigia" che, in molti ambiti, rappresenta il ventre molle per gli arieti della criminalità organizzata. "E' ampia, ed è fatta in realtà di molte sfumature", risponde dalla Chiesa, che presiede il Comitato di esperti antimafia nominato a Milano dal sindaco Giuliano Pisapia. "La zona grigia è composta da tante persone, o che prendono parcelle più alte facendo finta di non sapere da chi le prendono, o da imprenditori che danno subappalti per avere costi più bassi e fingono di non sapere a chi li danno, o da amministratori che vanno alle cene elettorali e fingono di ignorare con chi le fanno e chi gli porta voti".
Rosanna Biffi
Già da assessore alla Cultura a Corsico, Maria Ferrucci si era spesa a favore della legalità, organizzando iniziative e conferenze per cittadini e studenti. Ora che è sindaco da più di un anno, in questa città dell'hinterland milanese con oltre 34 mila abitanti e la presenza ingombrante delle cosche di 'ndrangheta Papalia e Barbaro, la professoressa Ferrucci si batte con la sua amministrazione per creare strumenti che contrastino la rapacità della criminalità organizzata.
Corsico aderisce ad "Avviso Pubblico", la rete di enti locali che combatte programmaticamente le infiltrazioni mafiose, e dal confronto con altri Comuni trae spunto per rafforzare la battaglia sul proprio territorio. Tra i progetti in via di definizione, quello per evitare che negli appalti comunali si infiltrino imprese colluse con la 'ndrangheta; la creazione di un Centro di documentazione con tutti i fatti e i nomi criminali del luogo, consultabile on-line; l'intenzione di collegarsi con altri Comuni dell'hinterland e con Milano per creare, insieme con la Prefettura, una lista di aziende sane sul piano della legalità.
Rosanna Biffi
"La presenza 'ndranghetista è avvertita in modo abbastanza pesante da chi compete direttamente con loro su alcuni affari", racconta il sindaco Ferrucci. "Loro hanno un po' il predominio, se non il monopolio, sulla movimentazione terra. Ci sono imprenditori che si sono dovuti spostare di parecchi chilometri per andare a cercare appalti. Ora, poi, il proliferare di macchinette per il videopoker nei locali fa capo alla criminalità organizzata, e i sindaci hanno sempre meno potere per inibirle".
Aggiunge il sindaco: " Chi ottiene appalti in maniera disonesta fa un danno alle imprese che competono secondo le regole, ma fa un danno anche all'intero Paese, perché distrugge la competitività".
Convinta che finora si sia lasciato solo alla magistratura l'onere di contrastare le mafie, Maria Ferrucci è decisa a coinvolgere amministrazione e cittadini in una battaglia che "si può combattere con l'impegno di tutti".
Una battaglia rivolta in senso ampio al rispetto e alla cultura della legalità:
"Non stiamo lavorando solo sulla criminalità organizzata, ma anche sull'illegalità diffusa che è la zona grigia sulla quale pensiamo che la 'ndrangheta abbia costruito il suo potere. Se tutte le persone non hanno niente da nascondere, tutti, quando arriva chi vuole il 'pizzo', lo denunciano. Invece, se questo non succede, è perché a volte non c'è soltanto la paura, ma anche il fatto che si ha qualcosa da nascondere, anche tasse non pagate, e quindi si subisce".