(Foto Reuters)
Quindici anni fa, nei quattro attentati suicidi realizzati da 19 terroristi di Al Qaeda negli Stati Uniti l'11 settembre, morirono 2.977 civili, mentre altri 24 risultano tuttora dispersi. Due aerei di linea furono dirottati e lanciati dai kamikaze contro le Torri Gemelle di New York. Uno contro il Pentagono (il ministero della Difesa Usa) a Washington. Il quarto doveva piombare contro il Campidoglio o la Casa Bianca ma precipitò invece in un campo in Pennsylvania dopo il tentativo eroico dei passeggeri di opporsi ai terroristi.
Quindici anni meno 11 giorni fa, il 20 settembre 2001, l’amministrazione americana, attraverso il suo presidente George W. Bush, s’impegnò a combattere una “guerra al terrorismo” (War on terror) senza quartiere, per estirpare la pianta della violenza e neutralizzare i regimi che la finanziavano e la sostenevano. Una promessa solenne cui si unirono subito, almeno nello spirito, comunque accomunate dal lutto per quei quasi 3 mila morti, decine ci Paesi di ogni parte del mondo.
Oggi non è possibile commemorare quei morti e i loro 19 assassini (15 dei quali erano originari dell’Arabia Saudita) senza ricordare allo stesso tempo quell'impegno solenne della comunità internazionale e trarne un bilancio. Quindi anni dopo possiamo, anzi dobbiamo ammettere che se avevamo dichiarato guerra al terrorismo internazionale, ebbene, l'abbiamo persa. Anzi: l'abbiamo clamorosamente persa. Bastano pochi dati, alcuni dei quali tratti dal Global Terrorism Index pubblicato dall’Institute for Economics and Peace (http://economicsandpeace.org/reports) di Chigaco (Usa) a dimostrarlo. Dal 2000 a oggi, le vittime mondiali per atti di terrorismo sono aumentate di nove volte. Nello specifico: nel 2000 ci sono stati 8 mila morti, nel 2013 già 18 mila, nel 2014 addirittura 33 mila. Nel 2013, i Paesi che avevano perso più di 500 persone per violenze di terrorismo erano 5; nel 2014 erano già diventati 11. Infine, gli attacchi suicidi nel 2014 erano cresciuti del 18% rispetto al 2013.
Se ci concentriamo sul terrorismo islamista, la morale non cambia. Nel 2014, il 78% delle vittime del terrorismo si sono concentrate in soli cinque Paesi: Siria, Iraq, Pakistan, Afghanistan e Nigeria. E due gruppi islamisti, Boko Haram in Nigeria e nei Paesi confinanti e l’Isis, in Siria e Iraq, sono responsabili da soli del 51% di tutti i morti. Nel 2014, calcola il Terrorism Index, l’Isis ha ammazzato almeno 20 mila soldati iracheni e siriani sul campo di battaglia e più di 6 mila civili in attentati di vario genere. Il tutto mentre una coalizione di 70 Paesi guidata da Usa e Arabia Saudita proclamava di essere impegnata a combatterlo.
Questa è il primo dato da cui dobbiamo partire se vogliamo onestamente e sinceramente ricordare gli attentati di 15 anni fa. Da allora, sempre in nome della lotta al terrorismo, l'Occidente ha lanciato due guerre. La prima, in Afghanistan, per sgominare le basi di Al Qaeda e il regime dei talebani e insediare la democrazia. Oggi i talebani sono più presenti che mai e i primi sei mesi del 2016 hanno visto 1.601 civili morti e 3.565 feriti, con un prezzo altissimo chiesto ai bambini (388 morti) e alle donne (507), con un aumento del 4% rispetto al 2015 e un bilancio che è tra i più drammatici dal 2001. La seconda guerra fu quella del 2003, l’invasione anglo-americana dell’Iraq. Una guerra criminale che George W. Bush e Tony Blair vollero a ogni costo, mentendo al mondo sugli armamenti di Saddam Hussein e sulle loro stesse intenzioni.
Dopo centinaia di migliaia di morti e le violenze infinite di Al Qaeda, una parte consistente dell'Iraq è tuttora occupata dalle milizie dell’Isis. Nessun fallimento poteva essere più totale. Per non parlare di effetti “collaterali” di cui potremo misurare le conseguenze solo nei prossimi decenni. Per esempio: la causa della democrazia, già difficile da promuovere in un mondo islamico che la democrazia non ha mai conosciuto e forse nemmeno desidera, è stata completamente screditata da spedizioni militari che l'hanno usata come copertura e hanno infine portato più miseria, più distruzioni e più morte a una regione già martoriata come il Medio Oriente. Questa è di certo una delle ragioni per cui le primavere arabe, partite nel 2011 dalla Tunisia e presto dilagate alla regione intera, sono finite con la sconfitta di chi proponeva una soluzione “occidentale” (multipartitismo, parità di diritti per le donne, libertà di pensiero e di parola…) e la vittoria, quasi ovunque, dei partiti e delle formazioni che si ispiravano al radicalismo islamico.
Se vogliamo davvero onorare i morti di 15 anni fa e mantenere gli impegni che avevamo solennemente preso pochi giorni dopo la strage, dobbiamo cominciare col riconoscere che abbiamo sbagliato tutto. Che servono un atteggiamento nuovo, una politica diversa, alleanze rivoluzionarie (fino a poco fa abbiamo continuato a definire "musulmani moderati” i Paesi del Golfo Persico che sono i primi finanziatori del terrorismo) e la disponibilità a perdere qualche miliardo di petro-dollari per guadagnare in serenità e pacifica convivenza. Ce la faremo?