Imputato euro, in piedi. I capi d’accusa sono due: il rincaro dei prezzi e la perdita del potere d’acquisto da parte dei cittadini. Il reato contestato è stato commesso in Italia dal 1° gennaio 2002. Quindici anni esatti. La pena? Il “licenziamento” in tronco della moneta unica (che è poi, grosso modo, il programma dei partiti “sovranisti”, dalla Lega di Salvini a Marine Le Pen, in Francia) e il ritorno alla lira, tra nostalgie d’antan e il rassicurante “si stava meglio quando si stava peggio”.
La Corte chiamata a giudicare sono ambulanti e avventori del mercato rionale di via Osoppo a Milano, tra via Rubens e piazzale Brescia e a ridosso del “quadrilatero” della vecchia San Siro ribattezzato il “quadrilatero della paura” per l’alto numero di maghrebini che lo hanno colonizzato, molti dei quali al centro di indagini di terrorismo internazionale. Ma questa è (in parte) un’altra storia. Perché la multietnicità di questo e di molti altri mercati di Milano non è certo una novità. E comunque, come si vedrà nel corso del processo immaginario che abbiamo imbastito contro la moneta unica, ha un suo peso specifico.
Marina è la prima giurata che incontriamo. Sta comprando un paio di tazze da latte alla bancarella dei casalinghi: «Negli Anni ’80 una famiglia di 4 persone se la cavava con una spesa alimentare di 50 mila lire a settimana, adesso ci vogliono 250 euro. Io vivo tra il Belgio e Milano e quando vado all’estero l’euro è comodissimo, ma noi abbiamo fatto un cambio sbagliato. I prezzi sono aumentati tutti».
Bruno e Angela vendono articoli casalinghi e fanno mercati da 45 anni: «L’euro? Lasciamo perdere. Siamo sprofondati. Non compra più nessuno. I prezzi sono aumentati, bisogna combattere contro la concorrenza cinese e il risultato è che non compra più nessuno. Guardi, non c’è nessuno».
Ciro, aria gioviale e gran parlantina, ci fa da cicerone tra i suoi colleghi ambulanti: «Bisogna tornare alla lira. Prima un pensionato prendeva un milione di lire di pensione e ipotizziamo comprasse un chilo di pane al giorno al costo di 4 mila lire. Sono 120 mila lire al mese. Ora ne prende 500 euro di pensione e il pane da 2 mila lire al chilo è passato da 2 euro. Quindi se spende 4 euro al giorno in totale fanno 120 euro e gli restano per vivere 380 euro. In pratica, fa la fame. Con i prezzi attuali, se tornassimo alla lira scopriremmo che due chili di pane dovremmo pagarli 8 mila lire. Da pazzi».
Irrompe Francesco e l’imputato euro può tirare un mezzo sospiro di sollievo: «Viva la moneta unica, tornare indietro è da pazzi. La colpa è della crisi, del lavoro che non c’è, non dell’euro». Un fruttivendolo che vende «solo roba italiana», come da precisazione puntuta, la mette su quella che gli economisti chiamerebbero “percezione del reddito”: «Noi italiani all’inizio abbiamo risentito del cambio, non abbiamo dato valore alla moneta. Se avessero fatto 1 e 2 euro di carta sarebbe stato meglio. Pensavamo che fossero centesimi e invece magari avevamo in tasca 10 euro tutti in monete».
L’euro? Secondo il signor Luigi va assolto per non aver commesso il fatto: «Stavamo meglio prima perché era più facile fare debiti. Oggi l’Europa ci impone di vivere solo con i soldi che abbiamo e ci sembra che siano sempre pochi. Con l’euro i tassi dei mutui sono scesi. Questo non lo dice mai nessuno, però».
Nordin, fruttivendolo marocchino in Italia dal 1999, non ha dubbi: «Con la lira si comprava di più e meglio».
Alessandro Di Toma, 42 anni trascorsi a fare mercati prima con il nonno, poi con il padre e ora con il figlio, vende frutta e verdura e spiega: «Dovevamo fare come la Gran Bretagna che è entrata nell’Europa e ha conservato la sterlina. O fare il cambio mille lire-1 euro. Però, non diamo colpe che l’euro non ha. Il problema è la concorrenza degli stranieri. Guardi, qui nessuno di loro ha il registratore di cassa e non pagano tasse. Loro possono mettere le clementine a 90 centesimi al chilo, io no perché le pago 70 centesimi e poi c’è l’Iva, il posteggio da pagare, il trasporto. Con l’euro sono raddoppiate le spese anche per noi. Cinque anni fa in una giornata di mercato incassavo 1.300 euro, adesso se arrivo a 380 euro sono fortunato».
Stesso refrain per Luca, che vende fiori: «Nel 1999 portavo a casa un milione di lire d’incasso, ora siamo sui 150 euro». Prende in mano una rosa: «Questa», dice, «mi costava 500 lire e io la vendevo a mille lire. Adesso mi costa 70 centesimi e io sono costretto a venderla a 1,50 euro per le spese che ho». La giuria di via Osoppo ha deciso: via l’euro, si torni alla lira.
«Così», prevede Ciro, «stiamo meglio tutti». E non tocca neppure attendere le motivazioni della sentenza perché sono già state esposte. È il bello dei processi di piazza.
Foto di Fabrizio Annibali