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15 marzo 2011, la scintilla che incendiò la Siria

14/03/2015  L'arresto di un gruppo di giovani fece scoppiare le manifestazioni a Damasco e Daraa. E la repressione di Assad...

Combattenti in Siria (Reuters).
Combattenti in Siria (Reuters).

Massacro siriano, anno quinto. Anche la guerra civile in Siria ha una sua data ufficiale d’inizio: il 15 marzo, quando nella capitale Damasco e in un’altra città del Sud, Daraa, scoppiò un’ondata di proteste a causa dell’arresto di alcuni giovani colti dalla polizia mentre dipingevano graffiti anti-Assad. Le proteste si trasformarono in scontri violenti con la polizia e, dopo le preghiere del venerdì 18 marzo, nell’uccisione di alcuni dimostranti. Domenica 20 marzo una folla attaccò e diede alle fiamme una serie di palazzi di uffici pubblici: le forze di sicurezza risposero con violenza, lasciando sul terreno 15 morti. La guerra civile era cominciata.

Come tutte le date, anche quella del 15 marzo è discutibile. Prima, c’erano stati mesi di proteste relativamente pacifiche e di repressione relativamente blanda, il tutto ascrivibile a quel vasto movimento democratico che nel 2011-2012 sconvolse il Medio Oriente e che fu chiamato Primavera araba. Fu indubbiamente Bashar al-Assad, con la decisione di interrompere ogni forma di dialogo con i dimostranti e ricorrere alla forza bruta, il primo responsabile dello scoppio della guerra civile. Se non altro perché, di fronte a una serie di richieste non certo estremiste da parte del movimento pro-democrazia, con la repressione cieca fornì agli estremisti islamici l’occasione per impugnare le armi e in breve tempo monopolizzare  o quasi la guida della rivolta.

In pochi mesi, il regime di Assad fu ridotto a controllare solo il 40% del territorio siriano, ma con il 60% della popolazione. Nello stesso tempo, gli estremisti islamici arrivarono a fornire circa il 75%  dei combattenti anti-Assad. Sulla pelle dei siriani (e poi anche degli iracheni, come ben sappiamo) si esercitano da quattro anni anche gli interessi delle nazioni confinanti. La Turchia, ma soprattutto l’Arabia Saudita e il Qatar, hanno a lungo fornito armi e quattrini agli estremisti e sono di certo corresponsabili per il controllo che l’Isis è riuscito a ottenere su metà della Siria e un terzo dell’Iraq.

In questi quattro anni il sacrificio di sangue del popolo siriano è stato enorme. Secondo l’Onu (che nel gennaio 2014 ha dichiarato di non voler più aggiornare i dati sui caduti  ma nell’agosto ha prodotto un ultimo studio), tra marzo 2011 e fine aprile 2014 sono morte in Siria 191.369 persone. Secondo l‘Osservatorio siriano per i diritti dell’uomo (una Ong con sede a Londra), tra marzo 2011 e oggi sono morte 210 mila persone, delle quali almeno 70 mila civili. Vi sono inoltre 4 milioni di siriani sfollati all’interno del Paese e 2,5 milioni di rifugiati in altri Paesi del Medio Oriente.

L’aspetto più atroce, comunque, è che non vi è alcuna prospettiva di composizione del conflitto. Il regime di Assad, aiutato politicamente a materialmente soprattutto da Russia e Iran, non è sul punto di cedere. E ormai, con l’Isis saldamente padrone di un territorio così ampio, le energie della comunità internazionale, anche quelle della coalizione guidata dagli Usa, sono concentrate nella lotta contro l’estremismo islamico. Nello stesso tempo, l’Isis si è così rafforzato da non essere facilmente eliminabile. Il massacro dunque continua, e chissà quando si fermerà.

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Quattro anni di conflitto, il calvario dei profughi siriani
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