Nei Paesi meno sviluppati, circa un bambino o ragazzo su 4 (tra i 5 e i 14 anni) lavora, correndo seri rischi per la sua salute e il suo sviluppo», dice Giacomo Guerrera, Presidente di Unicef Italia.
L’agenzia delle Nazioni Unite fornisce dati drammatici: la più alta percentuale di bambini lavoratori si trova in Africa subsahariana (il 25% di quelli tra i 5 e i 14 anni). In Asia meridionale, il 12% dei bambini nella stessa fascia di età svolge lavori potenzialmente dannosi, rispetto al 5% dei bambini che vivono in Europa centrale e orientale e Comunità degli Stati Indipendenti, la regione con il minor tasso di bambini lavoratori. Nei Paesi più poveri del mondo, circa 1 bambino su 4 lavora, e questo è potenzialmente dannoso per la loro salute.
In Asia Meridionale sono 77 milioni i bambini lavoratori. In Pakistan l’88% dei bambini tra i 7 e i 14 anni che non vanno a scuola, lavora; in Bangladesh sono il 48%, in India il 40% e in Sri Lanka il 10%.
L’Unicef, insieme ai suoi partner, cerca di affrontare le cause dirette del lavoro minorile lottando contro la povertà, fornendo istruzione gratuita e opportunità economiche per genitori e giovani in età da lavoro, e individuando i bambini coinvolti nelle peggiori forme di lavoro minorile, dando loro accesso ad altre opportunità come l'apprendimento.
L’organismo dell’Onu ha fra i suoi primi obiettivi la lotta contro lo sfruttamento del lavoro minorile con programmi di sensibilizzazione, prevenzione e reinserimento scolastico o lavorativo per bambini lavoratori, ex-bambini soldato e bambini di strada.
In occasione della Giornata mondiale, Terre des Hommes ha invece pubblicato un rapporto, “We Struggle to Survive” (Ci sacrifichiamo per vivere), sul lavoro minorile tra i rifugiati siriani che, denuncia l’Ong internazionale, ha raggiunto dimensioni allarmanti.
Terre des Hommes, organizzazione presente in Siria e nei Paesi limitrofi, ha verificato sul campo l'aumento vertiginoso dei casi di bambini costretti a lavorare: «Le disperate condizioni di vita dei siriani dopo cinque anni di conflitto stanno spingendo sempre più minori ad accettare qualsiasi lavoro, anche quelli più pesanti o pericolosi», dice Raffaele Salinari, presidente di Terre des Hommes. «Sebbene non siano disponibili dati ufficiali sul numero dei bambini lavoratori, abbiamo riscontrato che tra le famiglie rifugiate il ricorso al lavoro dei bambini sta diventando la risposta più comune alla drammatica mancanza di risorse economiche e di accesso gratuito ai servizi di base. Chiediamo quindi ai governi che ospitano i rifugiati e alle agenzie umanitarie di adottare immediatamente meccanismi di protezione dei bambini e di prevenzione del loro sfruttamento che tengano conto della complessità del fenomeno».
Il nuovo studio di Terre des Hommes sul lavoro minorile tra i bambini siriani ha coinvolto tutte le organizzazioni della Federazione Terre des Hommes attive in Medio Oriente e le associazioni locali che contribuiscono a portare assistenza ai bambini rifugiati e alle loro famiglie in Siria, Libano, Giordania, Iraq, Turchia, Grecia. All’indagine hanno partecipato direttamente 97 bambini e ragazzi lavoratori, dagli 8 ai 18 anni (86 siriani e 11 iracheni), che hanno portato la loro testimonianza in 10 focus group svolti tra marzo e aprile 2016. Più del 50% di loro ha dichiarato di lavorare più di 7 ore al giorno, il 33% lavora 7 giorni su 7. Alcuni di loro avevano solo 5-6 anni quando hanno iniziato a lavorare.
«Vediamo bambini e bambine siriane lavorare nei campi, cantieri, ristoranti, negozi, fabbriche, allevamenti. Sono per strada a vendere fiori o altra mercanzia, ma anche a mendicare. In Iraq, tra i minori che hanno partecipato al nostro studio un bambino su tre ha dichiarato di essere stato avvicinato da qualcuno che gli aveva proposto di arruolarsi in una delle parti in conflitto», prosegue Salinari. «Particolarmente preoccupante la presenza del lavoro minorile in Turchia, un paese che aspira ad entrare nell’Unione Europea e l’affacciarsi di questo fenomeno sulla rotta balcanica a seguito della chiusura del confine tra Grecia e Macedonia, con alcuni casi di bambini lavoratori rilevati nella zona di Idomeni, a causa della mancanza di un’adeguata assistenza umanitaria ai migranti».
«I bambini siriani», scrive il Rapporto, «stanno sacrificando la loro infanzia, prendendo su di sé il pesante carico di mantenere o aiutare la propria famiglia con il proprio lavoro. Spesso sono gli unici a poter lavorare, date le restrizioni poste dalla legge dei paesi ospitanti al lavoro legale degli adulti. Adulti che spesso non sono in condizioni di lavorare perché malati o mutilati a causa della guerra. Finiti i risparmi delle famiglie, ridotti i servizi per i rifugiati e tagliati gli aiuti delle Nazioni Unite a causa della mancanza di fondi, i bambini sono stati costretti a cercare un modo per guadagnare. La difficoltà di inserirsi nelle scuole dei Paesi ospitanti ha fatto il resto, creando una generazione di bambini che anche quando il conflitto terminerà non avrà la possibilità di aspirare a impieghi specializzati».
L’Ong è in particolare preoccupata per l’accordo tra UE e la Turchia, che potrebbe portare a concrete violazioni del diritto umanitario, ostacolando le richieste di asilo. All’Unione Europea si raccomanda di mettere in atto meccanismi per la prevenzione e la protezione dei bambini rifugiati, in particolare per coloro che sono vittime di sfruttamento lavorativo. Importante è anche la collaborazione tra gli Stati per registrare in maniera omogenea i minori stranieri non accompagnati, migliorare il sistema d’accoglienza, proteggerli dallo sfruttamento e favorire il loro accesso all’istruzione e alla formazione professionale.
Terre des Hommes Italia dal 2012 ad oggi ha dato assistenza a quasi 1.140.000 persone, in maggioranza bambini.