C’è un lato oscuro del 1993 che a distanza di 24 anni è rimasto tale. Nel corso di quel difficilissimo anno si è snocciolata una serie di eventi con i quali, in definitiva, ci troviamo a fare i conti anche oggi. Se da un lato il 1992 è quello in cui “scoppia” il nostro sistema Paese e il 1994 è quello in cui ritrova un nuovo equilibrio, l’anno di mezzo, il 1993, è la stagione in cui si gioca la “grande partita”. È la fase in cui si cerca di dividere l’Italia. Un terribile – e fortunatamente scongiurato – tentativo di secessione, o meglio di spartizione del nostro Paese, che avrebbe dovuto uscirne spezzato in due o tre parti. Di sicuro, l’anno più buio.
Gli elementi di questa sorta di Risiko si ritrovano nelle indagini di diverse Procure italiane: le rinvenne chi indagò sulle stragi della mafia (Milano, Firenze, Roma), ma anche Palermo, in quella lunga inchiesta denominata “Sistemi criminali”, madre dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia (guidata dal Pm Nino Di Matteo) arrivata fino ai nostri giorni (il processo è in corso al Tribunale di Palermo).
Gli attori in gioco, in quel momento tanto convulso della nostra storia recente, non erano soltanto i mafiosi di Cosa nostra, né le bombe che per la prima volta nella storia del nostro Paese vedevano le cosche siciliane ordire attentati al di fuori dell’isola. Ciò che stava accadendo viene ben riassunto nella richiesta di archiviazione dell’inchiesta palermitana (i magistrati Gozzo, Ingroia e Scarpinato non ritennero di avere elementi sufficienti per chiedere il rinvio a giudizio dei 14 indagati): secondo la Procura le indagini avevano fatto emergere «un’ipotesi investigativa in ordine a una connessione tra le stragi mafiose di Capaci e via D’Amelio, con gli attentati di Firenze, Roma e Milano per la realizzazione di un unico disegno criminoso che ha visto interagire la criminalità organizzata di tipo mafioso, in particolare Cosa nostra siciliana, con altri gruppi criminali in corso di identificazione».
I Pm disegnano un quadro per cui a cominciare dal 1990 – quindi ben prima della crisi del 1992 – cominciavano a diffondersi formazioni leghiste nel Centro e nel Meridione italiano, nello stesso periodo in cui la Lega Nord era nella sua fase di espansione. Un abbozzo di “leghismo meridionale” che però era trainato e sostenuto dalla mafia da una parte, e dall’altra da personaggi provenienti dalla massoneria deviata e dalla destra eversiva (tra cui il “solito noto” Licio Gelli).
Quindi, le bombe della mafia, il crollo del sistema politico italiano della cosiddetta “Prima Repubblica”, il tentativo di far nascere il leghismo del sud erano parte di uno stesso disegno: il tentativo di balcanizzare il nostro Paese, a cui ha certamente partecipato Cosa Nostra (con l’obiettivo, scrivono i magistrati di Palermo, di compiere «atti di violenza con fini di eversione dell’ordine costituzionale, allo scopo – tra l’altro – di determinare le condizioni per la secessione politica della Sicilia e di altre regioni meridionali dal resto d’Italia»), ma in associazione con «altre forze, esterne all’organizzazione mafiosa, sospettate di aver così permesso un consolidamento delle mafie».
I protagonisti di questa vicenda appartengono a tre gruppi strutturalmente diversi: oltre alla mafia, la massoneria e l’estremismo di destra. Allegramente insieme per partecipare al monumentale progetto eversivo.
Alla fine, non è andata così. Quella fase terribile si chiude nel marzo del 1994, con le elezioni che portano al primo governo Berlusconi. Il resto è storia nota. Invece quel “nodo oscuro” del 1993 resta ancora.
In copertina: via dei Georgofili a Firenze dopo l'esplosione della bomba.