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venerdì 15 novembre 2024
 
Anniversari
 

«Giovanni Spampinato, il giornalista che non aveva paura della verità»

26/10/2022  Il 27 ottobre di 50 anni fa veniva assassinato il giovane corrispondente dell'Ora e dell'Unità che aveva condotto coraggiose indagini sul neofascismo e le sue collusioni con la mafia. Il ricordo dell'amico e collega Franco Nicastro

Nella notte tra il 27 e il 28 ottobre del 1972, a Ragusa, fu ucciso un giovane, scomodo e coraggioso cronista, autore di scottanti inchieste giornalistiche su eversione nera, borghesia mafiosa e poteri occulti. Si chiamava Giovanni Spampinato ed a soli 26 anni era il corrispondente ragusano dei quotidiani L’Unità e L’Ora. “Assassinato perché cercava la verità”, titolò a caratteri cubitali il quotidiano L’Ora di Palermo. Attento ai fermenti sia della sinistra sia del cattolicesimo sociale, affascinato dal Concilio Vaticano II, dalla Teologia della Liberazione e dai “cristiani del dissenso”, Giovanni Spampinato era impegnato nella solidarietà ed era legato alla famiglia.

All’indomani del delitto iniziò la battaglia dei suoi familiari per la verità e la giustizia: dai genitori ai fratelli Salvatore (scrittore) e Alberto (giornalista di lungo corso dell’Ansa e presidente di Ossigeno per l’Informazione). Prima di essere ucciso, Spampinato collaborò proficuamente con il collega Franco Nicastro, all’epoca corrispondente dalla vicina Vittoria, in provincia di Ragusa. Per rievocare il cinquantesimo anniversario del delitto Spampinato abbiamo intervistato proprio Nicastro, attuale consigliere dell’Ordine dei Giornalisti di Sicilia e ultimo vicedirettore del quotidiano L’Ora, sotto la direzione di Vincenzo Vasile, prima della chiusura nel maggio del 1992, nelle settimane precedenti la strage di Capaci.

Quando hai conosciuto Giovanni Spampinato?

"Era il 1969. Per me era allora un nome che spuntava nelle pagine del giornale L’Ora nelle quali venivano pubblicati i nostri articoli. Eravamo giovanissimi. Lui scriveva da Ragusa, io da Vittoria. Due città vicine ma non molto simili. Ragusa era immersa in una stagnazione politica e culturale ed era dominata da un omogeneo blocco di potere. E però era attraversata da fermenti come quello che veniva dalle aperture conciliari del mondo cattolico. Vittoria, oltre a essere una roccaforte della sinistra, era al centro di un processo di trasformazione dell’agricoltura che portava una diffusa prosperità. Grande problema l’abusivismo edilizio e una criminalità che stava crescendo. Anche se questi erano per noi il centro dei nostri interessi, riuscivamo ad allargare lo sguardo oltre i confini provinciali e oltre i temi della cronaca quotidiana”.

In che modo intendevate la professione giornalistica?

“La nostra esperienza giornalistica si ispirava al modello dell’Ora, disomogeneo rispetto al sistema dell’informazione siciliana: attaccava la mafia, denunciava il malaffare, affrontava temi civili, svelava gli intrecci del potere, indagava sulle trame di gruppi neofascisti... Il giornalismo dell’Ora era capace di esprimere una visione ideale ed etica. Nel nostro piccolo ci illudevamo di sperimentare in provincia proprio quella cultura giornalistica sotto la spinta di una generosa ricerca della verità”.

Quale ricordo umano, personale e professionale conservi del tuo collega?

“Il mio primo ricordo umano mette a fuoco un rapporto di “complicità” tra amici che da provenienze diverse si ritrovarono a vivere le stesse esperienze. Fu lui a farmi da “istruttore” all’esame per la patente di guida. Spesso confrontavamo i nostri punti di vista sui casi dei quali ci occupavamo. Ed era un confronto tanto schietto quanto stimolante. Il clima era quello del ’68 con il suo carico di utopie e delusioni. E il contesto era quello di una provincia attardata dal mito di una terra risparmiata da mafia e criminalità. Non era così e solo molti anni dopo si scoprirà che la mafia c’era, era una realtà sommersa e faceva la sua parte. Si svolgevano invece alla luce del sole le trame neofasciste che arrivavano fino a Ragusa e Siracusa. Le cronache narravano di spedizioni punitive, attentati, violenze organizzate. Spampinato se ne occupava con il rigore di un giornalista che segue le tracce dei fatti e ne segnala la deriva eversiva”.

Quali furono le principali inchieste giornalistiche di Spampinato per il quotidiano L’Ora? “Quella sui movimenti neofascisti che agivano in provincia di Ragusa e Siracusa. Se ne occupò nel solco di un'inchiesta del giornale L’Ora che aveva portato non solo alla denuncia delle violenze ma anche alla scoperta di campi paramilitari. Questo filone giornalistico si intrecciava con il caso di cui Spampinato si occupava: il misterioso omicidio di Angelo Tumino ex consigliere comunale del Msi. Le indagini su quel delitto si concentrarono sul rapporto di amicizia tra la vittima e Roberto Campria, figlio del presidente del tribunale di Ragusa. Spampinato se ne occupò strappando il velo delle ipocrisie e delle reticenze che toccavano anche l’informazione. La sua voce scomoda venne subito soffocata. E dire che Spampinato aveva semplicemente applicato un metodo giornalistico”.

Per l’omicidio fu condannato il figlio del presidente del tribunale di Ragusa. Quale fu il movente? Agì da solo? Oppure non furono mai scoperti eventuali complici e mandanti?

“Roberto Campria è stato condannato come unico responsabile dell’uccisione di Spampinato, che aveva attirato in una trappola. Il fosco contesto del delitto non è stato completamente esplorato mentre si è cercato di affermare l’idea che Campria abbia reagito al comportamento “provocatorio” del cronista. Per questo Spampinato venne prima messo sotto accusa e poi stritolato. A parti rovesciate si è tentato di fare diventare la vittima colpevole e il colpevole vittima. Il caso si è chiuso in questo modo. Il ruolo del giornalista d’inchiesta ne è uscito compresso ma ha finito per trovare un riconoscimento anche giudiziario. E cinquant’anni dopo resta la sua grande lezione civile”.

 
 
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