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Sette idee per far pace in tempo di guerra

25/03/2016  Mentre l’Europa fatica a rialzare la testa dopo gli attentati di Bruxelles, ennesimo colpo al cuore, Flavio Lotti, coordinatore della Tavola della pace, suggerisce sette idee per far pace in tempo di guerra. Perché «la violenza paralizza. La ricerca del bene comune mobilita».

Ci fanno paura, ci condizionano. Entrano nelle nostre strade, all’improvviso. Esplodono, ammazzano. Ci lasciano per terra. A pochi passi da casa, in quelle stesse strade in cui ci siamo sempre mossi senza paura. Questo succede con gli attentati ed è la vera vstrategia del terrorismo.

Flavio Lotti, coordinatore Tavola della pace, suggerisce sette idee per far pace in tempo di guerra e farsi travolgere dal rancore o dal desiderio di vendetta.

1. La morte non ci deve mai trovare indifferenti. Non importa chi sia la vittima, la sua nazionalità, la sua religione, il colore della sua pelle, il luogo dell’accadimento. Non possiamo piangere solamente le “nostre” vittime. Ogni vittima è un nostro fratello o una nostra sorella. Non abituiamoci mai all’orrore. L’abitudine nasconde la rassegnazione. L’abitudine e la rassegnazione alle stragi, alle uccisioni, alla morte, alla violenza ci tolgono la dignità e uccidono la nostra umanità.

2. Il problema che dobbiamo affrontare è complesso. Il che non significa che sia irrisolvibile. Ma (di fronte ad ogni problema complesso) dobbiamo rifiutare le semplificazioni. Le cose da fare per vincere il terrorismo sono molte e ci coinvolgono tutti, collettivamente e individualmente. Richiedono tempo, pazienza, conoscenza, determinazione, costanza. Serve un’accelerazione in tanti campi ma fuggiamo dallo slogan facile e da tutti quelli che puntano il dito e innalzano muri contro gli altri, l’Islam, gli islamici, i migranti, le donne e gli uomini in fuga dalla guerra e dal terrore...

3. Agire con intelligenza. La componente “militare” del terrorismo va combattuta, fermata, neutralizzata con l’intelligenza, le indagini di polizia, la collaborazione tra i servizi di sicurezza, la lotta alla criminalità e ai traffici di droga e di armi, i sistemi di prevenzione. Servono unità, volontà politica, condivisione, cooperazione e coordinamento delle informazioni, delle politiche, risorse economiche adeguate. Cosa vuol dire “siamo in guerra!”? Per questa “guerra” bombe e cacciabombardieri, missili e portaerei sono inutili e inutilizzabili. Ogni volta che li usiamo estendiamo e radicalizziamo le basi del terrorismo. Quindici anni di “guerra al terrorismo” hanno prodotto risultati disastrosi. Dobbiamo smettere di buttare i nostri soldi per fare cose sbagliate e inconcludenti. E’ ora di cambiare decisamente strada. Smettere di fare la guerra non è un moto di pace ma la vittoria del buon senso.

4. Fermare le guerre. Il terrorismo ha molte radici ma la storia ci dice che le guerre in corso lo alimentano. Per questo è nostro interesse lavorare attivamente per fermarle. La loro continuazione e proliferazione non solo allunga la scia dell’orrore e del dolore ma fomenta il terrorismo, lo foraggia, lo estende. Giustificare una guerra col pretesto della lotta al terrorismo è pura ipocrisia. Fermare le guerre è un dovere di tutti i responsabili della politica internazionale. E’ il primo passo di chi ha il dovere e la responsabilità di costruire pace e sicurezza. Per andare alle radici del problema occorre inoltre contrastare con fermezza i traffici legali e illegali delle armi e la loro produzione.

5. Disertare la guerra delle parole. Lo possiamo fare tutti. Le parole uccidono. Prima delle bombe le parole della guerra seminano il terrore, fomentano l’odio, distruggono la ragione. E’ urgente costruire un argine a quelli che speculano sulle paure e sull’indignazione dei cittadini, che vogliono sostituire il buonismo con la cattiveria, che approfondiscono le divisioni, creano nuovi nemici ed erigono sempre nuove barriere. In televisione, nel web, alla radio e sulla carta stampata chi vuole sinceramente la pace deve disertare la guerra delle parole. La grammatica della pace getta acqua sul fuoco della discordia, spegne le polemiche, isola i malvagi, unisce le donne e gli uomini onesti in un fronte comune.

6. Bonificare le periferie intossicate. Combattere la disoccupazione, sradicare la povertà, lottare contro l’esclusione sociale e l’emarginazione, ridurre le disuguaglianze, promuovere il riconoscimento delle diversità, il dialogo interculturale e interreligioso, favorire l’integrazione, educare alla cittadinanza globale, alla solidarietà e all’accoglienza devono essere tra le priorità di chi vuole sradicare il terrorismo dalle nostre città, dall’Europa e dal mondo intero. Il radicalismo si nutre del malessere sociale, economico e morale, dell’ignoranza e dei fenomeni di esclusione dilaganti. Le politiche sociali, culturali ed educative sono strumenti essenziali di una efficace strategia di lotta al terrorismo.

7. Vincere il male con il bene. Non è una sciocca utopia. E’ la via più concreta, costruttiva ed efficace per uscire dal circolo vizioso del male. Il male non conosce limiti né confini. L’illusione di poterlo sconfiggere con gli stessi mezzi alimenta una escalation di violenza senza fine, limiti e confini. Alla teoria della guerra infinita noi dobbiamo contrapporre la volontà di disertare la guerra ovvero la volontà di interrompere la spirale del terrore per non venire stritolati. Con lucida consapevolezza dobbiamo constatare che la violenza non risolve mai i problemi ma li aggrava. Vincere il male con il bene richiede un lungo e impegnativo lavoro a tutti i livelli, esige una larga assunzione di responsabilità e la ricerca costante del bene comune. La violenza divide. La ricerca del bene comune unisce. La violenza paralizza. La ricerca del bene comune mobilita.

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