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venerdì 18 aprile 2025
 
 

Emmaus

15/04/2010 

Corre l’autore dietro ai suoi personaggi. Corre con il suo raffinato bagaglio di cronache esistenziali e affreschi sociali, con uno stile che svuota la parola per renderla rarefatta nella sua eleganza di puro segno. Corre il lettore dietro di lui, affascinato da quell’ambizioso movimento di frasi e di corpi che si spostano dentro un’idea. Ma, alla fine della corsa, personaggi, volti, accadimenti evaporano. Rimane la sensazione di un incontro mancato, di un’opportunità sprecata. Perché nell’Emmaus di Alessandro Baricco d’intelligente materiale per creare una narrazione di grande spessore ce n’era in ogni pagina. Quattro ragazzi di 17 anni, icone smarrite di una normalità scontata con “famiglie invisibili” che gravitano nell’ambiente cattolico – parrocchia, volontariato nell’ospedale dei poveri, Messa domenicale dove suonano come band, devoti del Dio dei Vangeli, anche se si riconoscono nella cecità dei discepoli di Emmaus – come nelle previsioni della tradizione religiosa in cui sono nati. Una ragazza scandalosa di abbagliante bellezza che vive sull’altra sponda, quella dei ricchi che non credono a niente e possono contare «su granai colmi all’inverosimile» di denaro e di sapere. È lei, più formula chimica che donna, più simbolo che realtà, nella sua evanescente imprendibilità, a rompere l’apparente felicità ed equilibrio dei quattro, a travolgerli nel dramma. Ancora profili e paesaggi esteriori e interiori che compongono la mappa dei dissesti moderni. Tanti preziosi mattoni che alla fine non riescono a costruire una casa. La casa dell’uomo.

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