Basta con la violenza di uno spettacolo pubblico barbaro e cruento, che mette in scena la tortura lenta e la morte di un animale per mano dell'uomo. Basta con le corride. Il Parlamento della Catalogna, la regione autonoma della Spagna con capitale Barcellona, ha deciso: dal 2012 in tutta la regione questa forma di spettacolo, che la Spagna ha sviluppato ed esportato in altri Paesi, sarà bandita. La decisione, partita da una "iniziativa legislativa popolare" (ilp) promossa dall'associazione antitaurina Prou ("basta" in catalano), accoglie le istanze delle associazioni animaliste che da anni si battono affinché i tori non vengano più uccisi nelle arene. Ma sul tema l'opinione pubblica si è divisa. Molti, infatti, non hanno mancato di leggere la decisione del Parlamento catalano in chiave politica, come mezzo per sottolineare l'autonomia della Catalogna dallo Stato centrale.
«Sono ancora molto fresche le polemiche e i dibattiti intorno all'Estatut di autonomia catalano», osserva Marco Bozzer, giornalista residente da molti anni a Barcellona, «dal punto di vista politico la nuova legge catalana approfondisce la frattura tra Madrid e Catalogna. Per la cultura spagnola la corrida è un elemento di autoriconoscimento e di indentità culturale. A Madrid, a Pamplona e soprattutto in Andalusia ad esempio è una tradizione molto sentita. Le arene, o plazas de toros, più famose? Quella madrilena e quella di Siviglia». In effetti, nel 2008 nella plaza di Madrid si sono tenute 343 corride; nella plaza Monumental di Barcellona solo 16, lo stesso numero che nella provincia di Vizcaya.
Le arene, comunque, muovono un giro di affari non indifferente anche a Barcellona, soprattutto nel periodo estivo (la corrida si tiene in genere all'aperto), grazie alla partecipazione non tanto degli spagnoli quanto dei turisti. Secondo uno studio della Piattaforma di promozione e diffusione della festa (Ppdf), il costo finale della proibizione delle corride divisa per ognuno dei sette milioni di catalani sarebbe di 57 euro per indennizzazione al settore.
In Spagna la corrida viene trasmessa in televisione, in pieno pomeriggio. Uno spettacolo molto cruento, nel quale si assiste a un lento e doloroso sfiancamento dell'animale - che comunque già viene mandato nell'arena indebolito - fino ad arrivare alla sua uccisione, con il trionfo del matador.
«Chiariamo una cosa: i tori fanno parte della nostra tradizione». Rafael Vallbona è un osservatore acuto e attento della cultura, del costume catalano e di tutto ciò che succede in questa regione. Animo profondamente catalano, nato a Barcellona cinquant'anni fa (città della quale è innamorato) Vallbona è giornalista, scrittore, autore per la Tv, docente universitario, appassionato ciclista. Nei suoi libri ha spesso raccontato la vita della capitale catalana (come nel romanzo Grácia, l'anima di Barcellona) e ora sta partecipando a un programma per la televisione locale Carreteres segundaries, nel quale segue e presenta itinerari catalani percorsi in bicicletta.
«Ho un pensiero molto chiaro sulla questione delle corride, ma partendo da un punto di vista logico, non politico o ideologico», spiega Vallbona. «E' innegabile che la corrida fa parte della cultura catalana e chi dice il contrario mente alla storia. La plaza de toros più antica di Spagna è la plaza de Olot a Girona (che adesso è chiusa). Questo vuol dire chiaramente che la tradizione taurina in Catalogna è molto antica. Altro fatto rilevante: negli anni Venti a Barcellona c'erano ben tre arene - oltre alla Monumental, l'unica rimasta fino a oggi, ce n'era una alla Barceloneta, il quartiere dei pescatori, e un'altra a plaza de España - e tutte e tre funzionavano regolarmente. Questo ci fa capire quanto fosse grande la passione dei catalani per i tori». E fra i grandi aficionados delle corride, ricorda Vallbona, molti erano intellettuali e artisti catalani, fra loro gli scrittori Santiago Russinyol ed Eugeni D'Ors.
«Precisato questo punto», continua Vallbona, «ora va detto che oggi il mondo si è evoluto abbastanza per arrivare a una forma di rispetto verso tutti gli esseri viventi. Credo che tutti - cristiani, musulmani, atei, agnostici... - concordino su un punto: che l'essere umano ha il dovere di rispettare sé stesso e tutto il mondo che lo circonda. La mia conclusione è che, nel XXI secolo e al punto al quale l'umanità è arrivata, una pratica come la corrida deve essere abolita. Prendere un animale e torturarlo fino alla morte davanti al pubblico è incivile. E' una tradizione, lo abbiamo detto; ma anche lo schiavismo dei secoli scorsi era una tradizione, ed è stata abolita, grazie a Dio. Non ho niente contro in toreri, sono persone che si guadagno da vivere, però la civiltà occidentale deve abolire queste pratiche».
Secondo lo scrittore, però, il Parlamento della Catalogna ha commesso un errore: andare a legiferare, e sollevare un polverone politico, su un tema che nel giro di pochi anni si sarebbe comunque consumato da solo. «In Catalogna la corrida come spettacolo stava già praticamente scomparendo. In tutta le regione era rimasta attiva soltanto la plaza Monumental, che durante l'estate si riempie di turisti; tutte le plazas de toros che negli anni '60 erano state aperte per i turisti sono state chiuse da tempo. Bastava solo aspettare ancora cinque anni, e il problema si sarebbe risolto da solo».
L'uomo contro l'animale, l'agilità e i nervi saldi contro la potenza istintiva e la forza della natura. Lo spettacolo della tauromachia, con la sua violenza e la sua carica simbolica, ha affascinato artisti e scrittori, da Pablo Picasso a Ernest Hemingway, che narrò il mito romantico del matador nel romanzo Il sole sorge ancora. Nella lotta per la vita quasi sempre a perdere è il toro.
Ma anche i toreri non hanno vita facile. Almeno una volta l'anno quasi tutti vengono feriti dalle corna dell'animale. Uno, Juan Belmonte, addirittura fu colpito 50 volte. E non sono pochi quelli che, nel corso dei secoli, hanno perso la vita nell'arena. Ma per i tori si tratta di una vera mattanza: più di tremila all'anno vengono abbattuti nelle plazas de toros in Spagna.
Fra i toreri più famosi che, negli ultimi anni, hanno rischiato la vita nell'arena c'è il 33 enne spagnolo José Tomas, una delle grandi star delle corride internazionali, che solo pochi mesi fa è stato colpito dalle cornate di un toro in Messico ed è stato gravemente ferito. Tomas aveva lasciato il palcoscenico dell'arena molto giovane, nel 2002, e solo nel 2007 era tornato ad esibirsi nella tauromachia. E anche la corrida ha i suoi bambini prodigio. A Città del Messico è sceso nell'arena Michel Lagravere, noto come Michelito, un matador franco-messicano di soli 12 anni, che uccide tori da quando ne aveva 11. Durante la corrida è stato colpito dalle corna, ma senza riportare ferite gravi.
E nel corso della storia sono molti i toreri che hanno conquistato l'immaginario popolare, per le loro gesta nell'arena, ma spesso anche per le loro vicende private. Uno fra tutti, il madrileno Luis Miguel Dominguín: amico di Pablo Picasso, è rimasto famoso per la sua storia d'amore con l'attrice Ava Gardner e, in seguito, per il matrimonio con l'attrice italiana Lucia Bosè, dal quale nacque il cantante Miguel Bosè.