Betlemme in attesa del Papa (Reuters).
Betlemme - C’è aria di festa a Betlemme. Partecipano tutti: cattolici, ortodossi, musulmani, persino chi dice di non credere in nulla. E anche se in tanti c’è il rammarico di non poter essere in piazza per la messa che il Papa celebrerà davanti alla Basilica della natività, si danno da fare perché tutto sia pronto e in ordine. Si sta finendo di preparare il palco, con alle spalle l’immagine dei tre Papi precedenti: Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, novelli re magi che rendono visita alla Sacra Famiglia. E per le strade si montano bandiere e striscioni di benvenuto.
“Spero di riuscire a vederlo mentre passa dalla strada principale”, dice Amed, guida musulmana, all’interno della Natività. Il patriarca Bartolomeo, dopo essere stato ieri al Santo Sepolcro, è appena entrato in basilica e risuonano alti i canti e le preghiere ortodosse. “Per me i palestinesi sono palestinesi, senza differenza tra cristiani e musulmani. Ognuno ha la sua religione, ma abbiamo un’unica lingua e siamo un unico popolo”, continua Amed in attesa di turisti.
“Qui l’ecumenismo e il dialogo interreligioso è già nel popolo”, spiega padre Gabriel Romanelli Sivori, argentino, da 19 anni in Medio Oriente e da 11 a Beit Jala. “Sentiamo in questi giorni le proteste dei gruppi ortodossi che non potranno essere presenti in piazza a Betlemme. Gli scout hanno scritto ancora questa mattina. L’espressione più usata è ‘vogliamo esserci, è anche il nostro Papa”. La piazza però non consente l’ingresso a più di diecimila persone “su una popolazione cristiana di 50mila”, aggiunge padre Ibrahim Shomali, parroco dell’Annunciazione. I suoi 2.000 parrocchiani sono in fermento “sono tutti felici, anche quelli che non potranno essere presenti. Si aspettano, e non solo loro, che il Papa ci dica qualcosa sulla possibilità di celebrare insieme con gli ortodossi le feste di Pasqua e Natale perché, come piccolo gregge, abbiamo bisogno di essere uniti. Ma poi ci aspettiamo che pronunci parole di giustizia, in particolare che il Cremisan è dei cristiani di Beit Jala. Ci sono 58 famiglie cristiane che rischiano di perdere tutto perché la costruzione del muro ha lasciato dall’altra parte, dove si stanno ingrandendo gli insediamenti dei coloni ebraici di Gilo e di Har Gilo, le loro terre. E come terza cosa ci aspettiamo che il Papa incoraggi Israele a lavorare per costruire la pace”. A settembre padre Shomali era stato dal Papa: “Ho concelebrato con lui e gli ho anche dato una lettera che racconta come viviamo qui”.
Difficoltà e speranze che saranno rappresentate dai 20 palestinesi che pranzeranno domani con il Papa. Provenienti da tutti i territori della Cisgiordania e da Gaza, ciascuno rappresenterà una famiglia e una situazione, da quella dei profughi a chi non riesce ad avere il ricongiungimento familiare, a chi non ha lavoro, al mondo dell’handicap. In piazza saranno presenti anche alcuni cristiani di Gaza, “ma molto meno del previsto perché è vero che abbiamo avuto 690 permessi, ma questi non sono stati dati a delle famiglie. Se lo ha avuto il padre non lo hanno avuto i figli, se li hanno avuto i figli non li hanno avuti i genitori. Alla fine sicuramente molti di loro verranno, ma molti dei bambini che non possono essere accompagnati dai genitori resteranno a casa”, dice il vice parroco di Gaza padre Maria da Silva . “In ogni caso è una gioia per molti di loro, in maggioranza ortodossi, che potranno uscire da Gaza dopo anni. È una festa anche solo poter essere in strada per accogliere il Papa e poi incontrare le loro famiglie che non vedono da tempo. Ed è comunque un passo in avanti se consideriamo che per la visita di papa Benedetto i permessi per Gaza sono stati meno di un centinaio”.
Ma non ci sono solo gli ortodossi, anche i luterani aspettano la visita. “Quella del Papa sarà una grande spinta verso quell’unità che il popolo già comincia a vivere. Pensiamo soltanto a quanti luterani recitano il Rosario e pregano la Madonna. Stiamo dando e vogliamo dare sempre di più un segno che vivere e convivere insieme si può. Partendo dalla giustizia. Ecco, ci aspettiamo che, pur non essendo un viaggio politico, il Papa possa dire una parola sulle giuste rivendicazioni del popolo palestinese”, conclude padre Gabriel. “E la pace, ce lo ricorda Isaia, è frutto della giustiza”, chiosa, con una battuta il rettore del seminario padre Jamal Khadere.