«Riportare al centro la società civile». Parte da qui l'iniziativa "Un passo di pace", organizzata da un network di organizzazioni, che comprende Rete della pace, Sbilanciamoci, Controllarmi (Rete italiana per il disarmo), Interventi civili di pace.
Domenica 21 settembre, dalle 11 alle 16, in piazzale Michelangelo a Firenze, si svolge una manifestazione nazionale per dire no a tutte le guerre e rilanciare le istanze dei gruppi pacifisti; in continuità con l'Arena di pace e disarmo, che si è tenuta a Verona lo scorso 25 aprile.
«Vogliamo così riconnetterci attraverso un'ipotesi di lavoro comune tra organizzazioni e movimenti pacifisti che finora hanno agito separatamente», spiega Grazia Naletto, co-portavoce della campagna Sbilanciamoci. «Quella di domenica sarà una piazza di pace. Interverranno i rappresentanti delle varie campagne pacifiste in corso in Italia e ci saranno collegamenti con i Paesi, che in questo momento vivono crisi acute: Siria, Palestina, Iraq e Afghanistan. Perché vogliamo dare la parola alle persone direttamente coinvolte nei conflitti. Se questo cambio di politiche non si realizzasse, sappiamo bene cosa ci aspetta, è sotto gli occhi di tutti: 2.000 morti a Gaza, il carcere a cielo aperto per 1,8 milioni di palestinesi, i 47 anni di colonizzazione e occupazione israeliana della Palestina, una vita sotto minaccia per il popolo israeliano, i prodromi della pulizia etnica, la violazione dell'autodeterminazione dei popoli, le infiltrazioni mafiose in ogni conflitto, l'uso del terrorismo anche da parte degli Stati, la tortura, il fondamentalismo, le esecuzioni di massa...».
Riconvertire le spese militari
Testimonianze, riflessioni e discussioni convergeranno in una piattaforma di proposte che saranno presentate al governo. «Vogliamo dare indicazioni per attuare delle politiche alternative a quella delle armi. E rafforzare il ruolo della società civile, che vuole la pace. L'idea fondamentale è la costruzione di processi di pace, a partire dal basso. Avanzeremo, quindi, proposte per la riconversione delle spese militari, oggi ancora più inaccettabili, data la situazione economica pesante. Ma anche indurre a rivedere le politiche migratorie. Perché si tende a dimenticare che c'è uno stretto legame tra la proliferazione di conflitti e l'aumento del numero di persone costrette ad abbandonare i propri Paesi. Noi vogliamo che sia garantito il diritto d'asilo. Servono, pertanto, politiche che favoriscano l'arrivo dei profughi, attraverso corridoi umanitari, affinché non mettano a repentaglio la loro vita. Vogliamo arrivare a cambiare il modello di sviluppo, non più orientato al consumo del pianeta per il benessere di pochi, ma alla sostenibilità futura e il benessere di tutti. Infine, saranno presenti i rappresentanti dei movimenti sardi che si battono per lo smantellamento delle strutture militari là presenti».
Un'iniziativa, chiediamo, legata anche alle ultime scelte del governo italiano, tra cui quella di inviare armi in Iraq. «Certo. Riteniamo fortemente sbagliata la scelta di inviare armi. Pensiamo che quei soldi debbano essere destinati agli aiuti umanitari, e a investire nella ricerca, nell'educazione, nell'ambiente, nell'economia e nel lavoro, nella giustizia sociale, nella democrazia, nella cultura, nel dialogo, nella cooperazione. La nostra iniziativa risale a prima dell'estate, quindi è frutto di una riflessione importante e precedente agli ultimi fatti. Siamo consapevoli che non sarà facile ottenere un'inversione di tendenza, ma è giusto che chi non condivide certe scelte governative, si faccia sentire. Noi pensiamo che si debba puntare sulla promozione della difesa civile non armata e non violenta, con persone appositamente formate. A questo proposito, a breve proporremo una raccolta di firme specifica. C'è anche qualche segnale positivo. Per esempio, la Regione Sardegna ha supportato i movimenti che si battono contro la presenza militare e questo ci conforta. Significa che la cultura di pace può farsi spazio tra le istituzioni».