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domenica 13 ottobre 2024
 
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A Hong Kong il fronte anti Cina trionfa nelle urne

25/11/2019  Alle elezioni distrettuali i candidati pro-democrazia conquistano 396 seggi su 452. Affluenza record oltre il 70 per cento. Il silenzio dei media cinesi sui risultati. Pechino conferma la fiducia alla governatrice Carrie Lam. Ma ora si apre un’altra delicata partita

Dopo mesi di proteste, milioni di cittadini scesi in piazza, violenze, irruzioni della polizia nelle chiese e nelle università, con la battaglia che si è combattuta nel campus del Politecnico solo qualche giorno fa, la protesta contro la Cina a Hong Kong è arrivata anche nelle urne. Il fronte democratico, ostile a Pechino, ha sconfitto i candidati pro-Cina in 17 dei 18 Consigli di quartiere, spinti da un’affluenza record alle urne: 71 per cento dei registrati, quasi tre milioni di cittadini, il doppio rispetto al 2015.

Già di prima mattina si erano formate code lunghissime davanti ai seggi, soprattutto giovani, con il fronte democratico che su Telegram rilanciava le notizie di (presunti) brogli, da sospetti accompagnatori che avvicinavano gli anziani per portarli a votare con offerte di regali e altre promesse. Si temevano disordini soprattutto nel pomeriggio. Non ci sono stati, per fortuna.

Alla fine dello spoglio i numeri parlano chiaro: 396 (su 452 disponibili) i seggi conquistati dai democratici contro i 42 dei filo-cinesi e una manciata per gli indipendenti. Nel 2015 l’opposizione a Pechino si era fermata a 126 seggi contro i 298 dei filo-governativi. La governatrice Carrie Lam (sempre più scomoda la sua posizione) e i leader cinesi speravano che le elezioni sarebbero state una prova di forza a sostegno di Pechino da parte della cosiddetta “maggioranza silenziosa” di Hong Kong che, secondo loro, disapprova le proteste dei giovani. Non è andata così, anzi molti alti papaveri pro Pechino hanno perso il posto.

L'attivsta pro-democrazia Joshua Wong, 23 anni, leader delle proteste
L'attivsta pro-democrazia Joshua Wong, 23 anni, leader delle proteste

Il significato politico del voto

Dal punto di vista strettamente amministrativo i consiglieri distrettuali hanno scarso potere politico e si occupano principalmente di questioni locali come le linee di autobus, la raccolta dei rifiuti, il verde pubblico, le scuole. Ma dal punto di vista politico e simbolico questo voto ha un’importanza enorme perché sancisce nelle urne e non più solo nelle piazze la sfiducia da parte della gente di Hong Kong verso il governo centrale di Pechino e la sua proconsole in città, Carrie Lam.

Era una sorta di «referendum sulla crisi» e la Cina lo ha perso nettamente. Dal punto di vista dei numeri il voto permette una maggiore influenza del fronte democratico sul Comitato di 1.200 membri che seleziona il Capo esecutivo della regione, ed è composto per un decimo da consiglieri distrettuali: il Comitato è di fatto controllato dalla Cina, ma la vittoria di oggi garantirà almeno una maggiore voce in capitolo ai politici pro-democrazia quando si tratterà di nominare il nuovo Capo esecutivo, nel 2022. Sempre che le cose non cambino prima.

Il silenzio dei media cinesi

  

Non ci sono stati commenti ufficiali da parte di Pechino. Il ministro degli Esteri Wang Yi, parlando in Giappone, ha ribadito che «qualunque cosa accada, Hong Kong fa parte della Cina. Qualsiasi tentativo di rovinarla, o addirittura danneggiare la sua prosperità e stabilità, non avrà successo».

I media statali hanno di fatto oscurato i risultati. Silenzio da parte dell'agenzia di stampa statale Xinhua mentre l'edizione inglese del Global Times ha attribuito il risultato a circostanze «anormali» che hanno reso più semplice la mobilitazione degli elettori del campo democratico, affermando che le «forze occidentali» hanno sostenuto l'opposizione. Xinwen Lianbo, il Tg statale, ha mandato in onda quattro servizi su Hong Kong, ma nessuno sulle elezioni; ha preferito intervistare cinesi in Svezia e Singapore, i quali hanno ripetuto la tesi del governo: «Ci sono forze straniere dietro il caos completo della città». il riferimento è anzitutto agli Stati Uniti che starebbero sobillando gli anti-Pechino.

La governatrice di Hong Kong Carrie Lam (62 anni) mentre vota
La governatrice di Hong Kong Carrie Lam (62 anni) mentre vota

Riconfermata la fiducia a Carrie Lam (ma la sua posizione è sempre più scomoda)

Il portavoce del ministero degli Esteri, Geng Shuang, nella conferenza stampa quotidiana, ha ribadito il suo sostegno alla governatrice: «Il governo centrale della Cina», ha detto, «supporta con determinazione la leadership della governatrice Carrie Lam sulla regione amministrativa speciale di Hong Kong».

La stessa Lam in una nota ha affermato che rispetterà l’esito del voto: «Le elezioni di ieri si sono tenute in modo pacifico, sicuro e ordinato. Dopo i disordini sociali degli ultimi cinque mesi, credo fermamente che la grande maggioranza del pubblico condivida il mio desiderio che continui la situazione pacifica, sicura e ordinata», ha spiegato la governatrice nella nota. La Lam ha anche riconosciuto che il risultato del voto ha alimentato le discussioni sul fatto che «i cittadini sono insoddisfatti per l'attuale situazione sociale e i problemi ben sedimentati» e che ascolterà «certamente con umiltà le opinioni dei cittadini e rifletterà su di loro con serietà».

Ora si apre un’altra delicata partita. Carrie Lam non potrà fare nessuna concessione ai cittadini di Hong Kong senza il consenso di Pechino. Non potrà dare l’avallo per istituire una commissione d’inchiesta sull’eccesso di reazione da parte della polizia, come chiedono i manifestanti. O concedere l’amnistia per i cinquemila arrestati. Potrebbe essere la via per aprire un dialogo. Ma è una strada in salita. Chi pensava che la maggioranza dei cittadini ostili a Pechino non condividesse la strategia da parte dei giovani di andare in piazza a protestare è stato smentito. Il fronte pro-democrazia esce dalle urne rinforzato e ricompattato. E lancia a Pechino l’ennesimo guanto di sfida.

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Hong Kong, scontri senza fine e ora l'assedio è nelle università
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