Un viaggio «nel contesto di forti tensioni internazionali per promuovere la pace». Il cardinale Pietro Parolin il 20 agosto arriva a Mosca per una missione delicata di quattro giorni nella quale vedrà il presidente Vladimir Putin e il patriarca ortodosso Kirill.
Perché questo viaggio a Mosca a quasi trent’anni da quello storico del cardinale Casaroli al tempo della perestrojka?
«Per quanto riguarda i segretari di Stato, dopo la visita di Casaroli, nel 1988, anche il cardinale Sodano si recò a Mosca nel dicembre 1999 per la dedicazione della cattedrale dell’Immacolata Concezione, incontrando Putin, all’epoca primo ministro, e il patriarca Alessio II. Ci sono, dunque, dei precedenti, ma è anche vero che i periodi storici sono diversi. Il mio viaggio si svolge nel contesto di forti tensioni internazionali, per cui un tema importante sarà la promozione della pace. È una questione prioritaria da sollevare non soltanto negli incontri con le più alte autorità civili, ma anche nei colloqui con i vertici della Chiesa ortodossa russa, perché ritengo che il ruolo delle comunità dei credenti sia di grande rilievo sotto questo punto di vista. La visita sarà pure occasione propizia per manifestare in modo visibile la vicinanza del Papa alla comunità cattolica, insieme con i suoi vescovi, agli incontri con la quale è riservata una parte dell’agenda».
C’è ancora una Ostpolitik vaticana?
«Se a questo termine, al di là della sua specifica collocazione storica, si dà il significato ampio di desiderio e impegno a stabilire contatti con le autorità di qualsiasi Paese, a prescindere dai sistemi politici, alla ricerca delle soluzioni migliori per l’esercizio della libertà religiosa e, quindi, per il bene della società in ciascuna epoca, penso che si possa dire che l’Ostpolitik costituisca una dimensione permanente della presenza internazionale della Santa Sede. Essa, infatti, è sempre disponibile ad avviare e a portare avanti il dialogo con tutti i responsabili politici del mondo sui temi della pace, della giustizia, della dignità della persona umana, della libertà religiosa eccetera. Non si tratta di una “politica” nel senso stretto della parola e tantomeno di una azione esclusiva dei rapporti con i Paesi dell’Est europeo – dove non si scese mai a compromessi con l’ideologia atea, né si abbandonarono i cattolici locali nella sofferenza di fronte a un sistema che mirava a distruggerne l’esistenza, ma si cercò di far pesare l’autorità morale della Santa Sede per aprire ai credenti ulteriori spazi di libertà –, bensì di un atteggiamento costante finalizzato a trovare cammini praticabili sulle questioni che riguardano la vita della Chiesa nel contesto del bene comune».
Mosca è tornata sulla scena internazionale, ma con interventi problematici in Ucraina e Siria. Come si esce da queste crisi?
«Ritengo personalmente che la soluzione di queste crisi dipenda in gran parte dall’attenzione che i leader politici prestano alle condizioni delle popolazioni coinvolte. C’è da rilevare, inoltre, che tali crisi provocano il deterioramento dell’insieme delle relazioni, oltre che a livello locale, anche in quello internazionale. Di fronte a tali situazioni, a mio parere, è necessario cominciare a porre, con immensa pazienza e magnanimità, gesti che contribuiscano a far uscire dalla spirale delle accuse reciproche e dei contrasti e arrestare l’escalation della tensione. Penso che la Chiesa non debba stancarsi di affermare che dovere dei responsabili della cosa pubblica è quello di operare scelte ispirate a un bene più globale, capace di superare la stretta logica degli interessi e dei vantaggi immediati di una determinata nazione».
L’altro piano della sua missione riguarderà l’Ortodossia, che oggi ha rapporti molto più stretti che in passato con il Cremlino. Come si può distinguere un dialogo più religioso da quello politico e diplomatico?
«C’è sempre il rischio che l’atteggiamento dei fedeli di un Paese subisca l’influsso della politica. Parlo qui di un influsso in senso negativo, quando cioè si assumono posizioni in contrasto con la fedeltà al Vangelo. Ogni contatto ecumenico non mancherà di avere ripercussioni positive anche da tale punto di vista, perché favorisce migliore conoscenza e stima reciproca. Ecco allora che il dialogo ecumenico può e deve apportare un significativo contributo anche a quello politico e diplomatico, ricordando sempre che il dialogo ecumenico è un bene in sé, perché risponde all’urgente chiamata del Signore che i cristiani siano uniti tra loro».
La situazione della Chiesa cattolica in Russia: finiti tutti i problemi?
«C’è stato un periodo di incomprensione tra cattolici e ortodossi circa le finalità perseguite nell’attività pastorale. È stato importante chiarire che la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa russa non sono, per così dire, rivali. Piuttosto, la loro presenza e attività sono un dovere che risponde al diritto dei rispettivi fedeli a beneficiare dell’assistenza spirituale della propria Chiesa. Esse svolgono la loro missione pastorale nella consapevolezza di annunciare lo stesso Vangelo di Cristo per il bene dei propri fedeli e della società. Sotto tale punto di vista, oggi esistono meno problemi rispetto al recente passato. Oltre a questo aspetto, ci sono poi questioni riguardanti la concreta vita quotidiana delle singole comunità cattoliche, che incontrano difficoltà di vario tipo, anche per il fatto che la Chiesa cattolica è una confessione minoritaria nel Paese. Permangono problemi non completamente risolti, per i quali si cercano soluzioni passo dopo passo».
Lei va a Mosca nel centenario della Rivoluzione d’ottobre...
«Al di là delle conseguenze politiche di quegli eventi, ciò che mi ritorna spesso alla mente è l’accanimento che questi hanno comportato nei confronti dei credenti, sia dei cattolici sia degli ortodossi russi. Tra gli uni e gli altri, fino ai loro vertici, molti hanno subìto il martirio. Penso che sia questo uno dei motivi per cui nella Russia odierna il centenario viene commemorato con sentimenti per lo meno contrastanti. Si tratta, in ogni caso, di dolorosi eventi, dai quali dobbiamo continuare a imparare per incoraggiare lo sforzo di tutti – Chiese, educatori, politici, operatori dei mass media – a evitare il ripetersi di simili vicende, lavorando sulle cause che li hanno prodotti. Per l’aspetto più prettamente spirituale, sia la Chiesa cattolica sia la Chiesa ortodossa russa riconoscono in essi pagine di testimonianza vissuta fino in fondo, in quello che papa Francesco, e prima di lui san Giovanni Paolo II, hanno chiamato l’ecumenismo del martirio”, e rendono grazie a Dio per la possibilità di una nuova primavera ecclesiale».
Foto Yuri Kochetkov/Ansa