12 mila chilometri da Torino al campo base del K2, con lo zaino in spalla, utilizzando solo le gambe e i mezzi pubblici. Protagonista di quest’avventura è Gian Luca Gasca, piemontese di 26 anni, che dei viaggi sostenibili ha fatto il suo “marchio di fabbrica”. Dopo aver attraversato, sempre senza utilizzare né auto né aerei, le Alpi e gli Appennini, fra agosto e settembre Gasca ha lasciato tutte le comodità cittadine e si è messo in viaggio verso “la montagna degli italiani”, il K2, salito per la prima volta nel 1954 da Ardito Desio e compagni.
L’iniziativa, sponsorizzata dal Club Alpino Italiano in occasione dell’Anno internazionale del turismo responsabile, non poteva che partire da Torino, città natale del sodalizio. “Da lì ho preso i bus per Berlino e Minsk. A Mosca sono arrivato in treno e ho percorso la Transiberiana verso Urali e Kazakistan. Poi ancora bus e dodici giorni di cammino”.
Dal geologo Henry Haversham Godwin-Austen, che nel 1856 esplorò le valli ai piedi del K2, a Günther Messner, che nel 1970 arrivò via terra ai piedi dell’Himalaya per scalare con il fratello Reinhold il Nanga Parbat, Gasca si è ispirato ai grandi viaggiatori del passato. “Ho seguito la Via della seta di Marco Polo. Sognavo le carovane di mercanti invece ho trovato consumismo e corruzione. Solo in Pakistan ho finalmente assaporato l’oriente poetico di cui parlava Tiziano Terzani”.
Ramponi e piccozza per procedere sul tratto di ghiacciaio sono arrivati assieme a Carlo Alberto Garzonio, geologo e già presidente del Comitato Scientifico del Cai, che ha condiviso con Gasca l’ultimo tratto verso il campo base. “Nello zaino ho portato solo l’essenziale. Il coltellino si è rivelato indispensabile; ma importantissimi sono stati anche Oriente, il libro di Paolo Rumiz che mi ha fatto compagnia, e un fazzoletto appartenuto al nonno della mia ragazza, rimando agli affetti lasciati in Italia”.
Dopo 43 giorni di viaggio Gasca è arrivato finalmente a destinazione. “Il K2 però non si vedeva perché era immerso nelle nuvole! Quando l’intera piramide si è scoperta la guida mi ha abbracciato e mi sono scese le lacrime. Non avrei mai immaginato di poter vedere dal vivo una montagna tanto sognata”.
Durante il viaggio il moderno esploratore ha dovuto fare i conti con la burocrazia - “In Cina mi hanno negato il visto perché non ritenevano plausibile attraversare il Paese a piedi e ho dovuto prendere l’aereo” - ma anche con la solitudine. “In Russia la lingua è stata una barriera insormontabile. Ho vissuto giornate intere da solo in montagna ma non mi sono mai sentito solo come in questo viaggio: l’incomunicabilità crea solitudine, sei in mezzo agli altri ma non riesci ad interagire, è come se non esistessi”.
“Questa esperienza mi ha cambiato la vita. Viaggiare con i mezzi pubblici permette di assaporare la vita quotidiana dei Paesi molto più che spostandosi con gli aerei o le auto private. Ho imparato molto sul mondo islamico: durante il trekking io e Garzonio eravamo gli unici non musulmani ma la condivisione della fatica ci ha fatto sentire vicini oltre ogni diversità. Le settimane di maggiore solitudine mi hanno messo alla prova, è vero, ma sono tornato con una maggiore consapevolezza di cosa voglio fare nella vita”. Obiettivo del 2018, sposare la fidanzata Tatiana. E progettare un’altra avventura.