Uno sparo. Bum. Dal terrazzino di un’abitazione. Il pallino d’arma ad aria compressa colpisce una bambina di un anno e pochi mesi in braccio alla mamma: si trova in cura all'Ospedale Bambino Gesù e rischia che il danno che ha subito abbia come conseguenza una paralisi.
La procura di Roma sta indagando, quello che già si sa è che per quel ferimento è indagato un signore di 59 anni, che davanti ai giudici avrebbe ammesso un colpo accidentale: «Non volevo fare male a nessuno”.
Gli inquirenti stanno vagliando anche un’altra pista, quella dello sfondo razziale, per capire se invece quello sparo sia stato meno casuale di come sembrava, se avesse una qualche valenza al di là del caso il fatto che la bimba e la mamma che la teneva in braccio fossero rom. Ma la questione, che pur cambia la prospettiva, non muta di molto la riflessione che il fatto suscita riguardo all’equazione “più armi, più sicurezza” molto sentita di questi tempi e non per caso toccata a proposito dell’episodio di cui sopra anche dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Più armi in realtà vuol dire più armi e di solito non sparano fiori: quel signore che parla di caso e dice di non aver voluto far male a nessuno, nella migliore delle ipotesi, è un imprudente, uno sventato che giocando con un’arma non giocattolo su un terrazzo potrebbe aver rovinato due vite: quella della bimba e che poteva essere di chiunque di noi avesse avuto la sventura di passare di lì e la propria comunque segnata da quell’incauto gesto. Occorre non dimenticare che anche chi compra un’arma pensando di difendersi potrebbe essere uno sventato imprudente e sbagliare mira: più armi in mano a chiunque potrebbe anche voler dire più imprudenti armati.
Se invece ci fosse stato un movente, una rabbia repressa, un gesto consapevole, un raptus, la domanda che ci viene, da farsi con onestà davanti allo specchio nella vita quotidiana non solo immaginando di fronteggiare un ladro nella notte, è: ma davvero mi sentirei più sicuro se il mio vicino di casa (a scanso di equivoci stiamo parlando di un condominio immaginario) avesse un’arma sotto il cuscino? Davvero mi sentirei più sicuro se sapessi che i due condomini che litigano da trent’anni e per cui ogni minuscola questione è una buona scusa per sedimentare altra ruggine su quella ultradecennale consolidata, tenessero in casa un fucile? Davvero non mi verrebbe da temere, per loro, che una volta o l’altra quel rancore incistato possa esplodere in un gesto inconsulto dell’uno contro l’altro, magari mentre passa di lì mio fratello, mio padre, mio figlio? Davvero mi sentirei più sicuro se l’automobilista imbufalito che inveisce contro l’altro al semaforo avesse un’arma nel cassettino del cruscotto?
Davvero siamo tutti così sicuri di noi, da poter dire senza ombra di dubbio che saremmo capaci in un momento di rabbia inconsulta, di panico, di dolore profondo, di non perdere il controllo della ragione e delle mani? O siamo disposti a riconoscere, anche se non fa onore al nostro essere creature razionali, che è tutto più sicuro se in un momento così, di buio della ragione, che può passare in qualsiasi mente e solitamente esplode in parole di cui si perde la misura e di cui ci si pente un minuto dopo, non abbiamo a portata di mano qualcosa che possa fare male fisicamente e irreparabilmente agli altri o anche a noi stessi?