Dài e dài, alla fine ci siamo arrivati. Sabato sera, allarme bomba sulla Croisette. Le centinaia di giornalisti in fila da oltre un’ora, sotto il sole, per accedere alla Salle Debussy sono stati fatti prima arretrare dagli steward del festival e poi sono stati definitivamente allontanati dai poliziotti, in assetto antiterrorismo. Uno zaino sospetto, abbandonato o dimenticato nel cinema, ha portato l’allerta ad allarme rosso. Anche perché, pochi minuti prima, nell’adiacente Grand Théatre Lumière, si era appena concluso l’incontro stampa con Clint Eastwood in occasione del restauro del suo film Oscar Gli spietati. Un doppio appetibile bersaglio, francese e americano. Giustificate la preoccupazione e la prudenza. Ma altra serata di gran confusione, proiezione rinviata e disagi. Anche se, dopo una mezz’ora, qualcuno l’aveva già buttata sullo scherzo. Un giornalista italiano, manco a dirlo, che ha esclamato: questo è uno scherzo di Jean-Luc Godard che non ama farsi usare né celebrare, per cui non voleva che fosse proiettato il film Le redoutable che Michel Azanavicius gli ha dedicato.
Magari invece, gli ha fatto eco un altro, è stato un collega pietoso che voleva risparmiarci l’ennesima brutta pellicola. E giù risate.
Per fortuna, a salvare le sorti del festival ci si sono messi i bambini. Dodicenni che recitano con fresca bravura e sulle cui spalle poggiano i film finora più applauditi sulla Croisette. Millicent Simmonds e Oakes Fegley, in Wonderstruck (La stanza delle meraviglie) dello statunitense Todd Haines, interpretano entrambi dei ragazzini sordi. Solo che Rose, sordomuta dalla nascita, si muove in una storia ambientata nel 1927 mentre Ben perde l’udito in seguito a un incidente che avviene nel 1977. A mezzo secolo di distanza, intraprendono la stessa fuga verso New York alla ricerca di risposte, di identità. La camera ne segue in parallelo le vicende facendo zapping tra la vigilia in bianco e nero della Grande Crisi e i colori smaglianti degli anni Settanta.
Un’eleganza formale tipica di Haines, non per nulla già regista del bellissimo Carol con Julianne Moore, musa che ha voluto anche nel nuovo film nei panni di Rose, ormai anziana, cui il destino dona una gioia da nonna. Il difetto sta forse in un cerchio che si chiude troppo perfettamente e in una confezione al limite del patinato. Ma è da vedere (voto 7).
Al contrario aspro, dalle atmosfere e i colori freddi, raggelato nei sentimenti è Loveless (Senza amore) del russo Andrey Zvyagintsev. Storia di ordinaria quotidianità del divorzio tra Zhenya e Boris, borghesi della nuova Russia, moderni, agiati ma incapaci di cogliere il dolore lacerante che i loro feroci litigi provocano nel figlio Alyosha. Un giorno questo dodicenne biondino dai tratti taglienti non ne può più di sentirsi scaricato da mamma e papà e, dopo un pianto notturno sordo e solitario, sceglie di sparire. Sorpresa, dolore, ripensamenti: i genitori, prima troppo presi dalle liti sui soldi e dai nuovi amanti, sprofondano pian piano in quell’angoscia che solo conosce chi ha sofferto la scomparsa di un bambino. La cinepresa come un elettrocardiogramma. Senza lieto fine. Alyosha (il bravo Matvey Novikov) non si vedrà mai più ma la sua assenza riempirà di dolore il film. Metafora della Russia moderna, senza più anima, guidata da Putin? Certo. Basta però la storia dell’aridità di due genitori (voto 8) per inchiodare lo spettatore alla poltrona.