Fabio Geda conosce bene i ragazzi di oggi, e spesso scrive per loro. Ma in questo suo ultimo romanzo, La scomparsa delle farfalle (Einaudi, pp.243, € 17,50), ha sicuramente attinto ai suoi ricordi di giovane torinese nell' ultimo decennio dello scorso secolo, anche se i personaggi sono più giovani di quanto lo fosse lui allora. Protagonisti quattro amici inseparabili, Andrea, Valerio, Anna e Cora, compagni di classe al liceo scientifico, che crescono insieme, misurandosi chi con un fratello morto, chi con un padre assente, chi con un padre violento. Il loro adulto di riferimento è Azeglio, un anziano robivecchi con una bottega nascosta piena di oggetti recuperati da persone che volevano sbarazzarsene e che lui aggiusta e poi rivende. Il più tormentato dei quattro è Andrea, che dopo la fase dei primi amori, l’esame di maturità e la scelta universitaria, viene assalito da un senso di vacuità, come se ciò che prima lo appagava si sia svuotato di senso. Torna da solo in un giardino dove, quindicenni, avevano fatto un' irruzione notturna ed erano stati circondati da un nugolo di farfalle. Ma le farfalle, con la loro magia, metafora dell' incanto dell' adolescenza, non ci sono più. Non è nel passato che può trovare un senso alla sua vita, ma in scelte radicali. E ricordando la pace che aveva sperimentato a Ceglio, un paese dove aveva soggiornato per qualche giorno durante una vacanza a piedi in montagna con Anna, decide di trasferirsi lì da solo, ristrutturando una vecchia casa in rovina e facendo mille lavoretti manuali. Fino a quando uno dei tanti disastri che flagellano i nostri territori dissestati, travolge di fango un piccolo edificio a cui stava lavorando, trascinandolo via. E nel disperato tentativo di non soccombere si aggrappa ai ricordi, alle cose belle, agli amici più cari, un legame che non si è interrotto e che diventa strumento di salvezza. La ricerca di una dimensione personale in una vita quasi eremitica in montagna un po’ ricorda Le otto montagne di Paolo Cognetti. E nelle citazioni finali compare anche un testo dell’autore vincitore del premio Strega. Come se le anime più sensibili per guardarsi dentro e cercare il proprio destino avessero bisogno di fare silenzio anche intorno a sé, ritrovando nella natura la propria dimensione più autentica prima di riprendere il cammino.