La strada per l’abolizione del
reato di clandestinità è ancora lunga, ma c’è stato un primo
passo importante oggi pomeriggio in Senato. Su proposta del Governo,
con 182 voti a favore, 16 contrari e 7 astenuti, l’assemblea di
Palazzo Madama ha approvato la parziale cancellazione del reato di
clandestinità e la sua trasformazione in reato amministrativo.
L’emendamento è stato inserito nel disegno di legge sulle pene
alternative al carcere, che già la scorsa settimana aveva provocato
l’ostruzionismo della Lega.
Cosa succede dunque? Secondo il
provvedimento, l’ingresso illegale in Italia non sarà più un
reato e tornerà un illecito amministrativo, mentre manterrebbe
valenza penale ogni violazione di provvedimenti amministrativi emessi
in materia di immigrazione.
Per esempio, scatta il reato se si
rientra in Italia una volta espulsi, oppure se non si rispetta
l’obbligo di presentarsi in Questura dopo un fermo per mancanza di
documenti.
In pratica, come ha spiegato il
sottosegretario alla Giustizia Ferri, «chi
per la prima volta» entra irregolarmente in Italia «non
verrà sottoposto a procedimento penale, ma verrà espulso». Se poi
tentasse di rientrare, a quel punto «commetterebbe
reato». «Nessun passo
indietro», ha risposto Ferri alle critiche della Lega e di Forza
Italia, il Governo ha semplicemente «voluto
specificare espressamente quanto già contenuto nella norma».
La decisione del Governo è un
evidente compromesso tra le forze che sostengono la maggioranza, che
fino a ieri sera non avevano trovato un’intesa. Da una parte, il Pd
insisteva sulla depenalizzazione del reato, mentre il Nuovo
Centrodestra di Alfano ha insistito e ottenuto di mantenere il
rilievo penale sia per l’ingresso irregolare ripetuto, sia per la
violazione dei provvedimenti amministrativi.
Tuttavia, il cammino verso
l’abolizione (seppure parziale, quindi) è ancora lungo. Il Ddl
sulle alternative al carcere, dato che è stato modificato al Senato,
deve tornare alla Camera. Inoltre, se in questo passaggio fosse
definitivamente approvato, sarà comunque una legge delega e toccherà
al Governo scrivere i decreti legislativi per darle completa
attuazione (fino a 18 mesi di tempo).
Introdotto nel 2009 dal “Pacchetto
Sicurezza”, il reato di clandestinità divenne una “legge
manifesto” dell’allora premier Berlusconi e del ministro Maroni,
all’interno di un clima culturale in cui si era cercato di
introdurre addirittura l’obbligo di segnalazione degli irregolari
che arrivavano in pronto soccorso, proposta poi abbandonata anche a
seguito della forte opposizione degli ordini dei medici.
Gli effetti
che ha prodotto? Spese aggiuntive a carico della macchina
giudiziaria, che non producono nulla di concreto e finiscono con
un’espulsione già prevista dalla via amministrativa e una multa
che di fatto non viene mai riscossa.
Spiega Rodolfo Sabelli,
presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati: «Reato
inutile e dannoso: inutile perché una sanzione pecuniaria non è in
grado di esercitare alcun effetto dissuasivo; dannoso perché
intralcia le indagini contro gli scafisti e gli altri responsabili
del traffico di clandestini, trasformando questi ultimi da testimoni
in coimputati, e perché ingolfa gli uffici giudiziari». Nella sola
Procura di Agrigento, nel 2013, gli iscritti al registro degli
indagati sono stati 16.000, compresi i sopravvissuti alla tragedia di
Lampedusa.
In compenso, il reato di
clandestinità criminalizza “il nemico”, che magari ha il nome di
Tony, kosovaro, 2 figli che vanno la scuola da sei anni, e ha perso
il lavoro (e quindi il permesso di soggiorno) per la chiusura della
fabbrica tessile in cui lavorava. Oppure di Olga, badante ucraina da
4 anni in Italia, che non è mai stata regolarizzata dall’anziano
di cui si prendeva cura. Ha spiegato il senatore Pd Luigi Manconi,
presidente della Commissione Diritti umani: «Si
tratta di una fattispecie penale propria di una fase giuridica
precedente all’affermazione dello stato di diritto, quella in cui
si veniva puniti non per le azioni commesse ma per la propria
condizione esistenziale, culturale o sociale».