Non c’è nessuna svolta sulla questione dell’aborto nella Lettera Apostolica “Misericordia et misera” e non è vero, come molti giornali hanno riassunto nei titoli e come si favoleggia nella comunità da “Bar sport” dei social network, che il Papa ha detto ai sacerdoti «assolvete il peccato di aborto» o anche «assolvete donne e medici». No, non è così e non cambia niente. Francesco ha voluto soltanto rimuovere un ostacolo e rimettere nelle mani di preti, di tutti i preti, la facoltà di assolvere il peccato, se c’è pentimento.
Francesco non ha trovato alcun espediente per forzare la dottrina, né la disposizione disinnesca la gravità del peccato, né siamo di fronte ad una sorta di perdono semplificato per il solo fatto che adesso tutti i sacerdoti hanno una facoltà finora riservata ad alcuni di loro. E’ il caso dunque di chiarire cosa ha detto il Papa e come in realtà stanno le cose.
Bergoglio nella Lettera apostolica, nel capitolo 11, cioè quello precedente alla questione dell’aborto, fa una premessa: «Non c’è legge né precetto che possa impedire a Dio di riabbracciare il figlio che torna a lui riconoscendo di aver sbagliato». Il Papa poi nel capitolo successivo ribadisce la gravità del peccato e riafferma al tempo stesso, «con altrettanta forza» che non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non può «raggiungere e distruggere».
Lo dice in modo esplicito e si intesta in prima persona la decisione, scrivendo «posso e devo affermare». Ecco la frase precisa: «Vorrei ribadire con tutte le mie forze che l’aborto è un grave peccato, perché pone fine a una vita innocente. Con altrettanta forza, tuttavia, posso e devo affermare che non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non possa raggiungere e distruggere quando trova un cuore pentito che chiede di riconciliarsi con il Padre». Ciò che lo preoccupa insomma, argomento sul quale non intende fare sconti per cui scrive «posso e devo», è quella che nel latino della Chiesa si chiama salus animarum che, anche secondo il diritto della Chiesa, è suprema lex.
Cosa fa insomma il Papa? Mette a disposizione, senza limiti di legge, la possibilità di riconoscere il peccato e di pentirsi. E cosa non fa il Papa? Non apre la porta al lassismo. Quindi è sbagliata l’analisi di molti media, ma è altrettanto errata quella di chi scambia lo sforzo di mettere a disposizione dei fedeli più largamente mezzi di salvezza con una deriva nella dottrina. Già Giovanni Paolo II si era rivolto alla donne che avevano abortito, nella “Evangelium vitae”, spiegando loro che «il Padre di ogni misericordia vi aspetta per offrirvi il suo perdono e la sua pace nel sacramento della riconciliazione» e aggiungeva che «nulla è perduto».
Adesso in più papa Francesco toglie semplicemente un ostacolo. Finora la possibilità di assolvere dall’aborto e di rimettere quindi la scomunica automatica era riservata solo ad alcuni sacerdoti sulla base di una disposizione del vescovo. Ma questa disciplina non è mai stata rigida. Intanto ogni sacerdote poteva comunque assolvere, perché nessuno può pretendere che il penitente conosca le disposizioni canoniche e i nomi di coloro che hanno un potere delegato dal vescovo. In molti casi al penitente veniva indicato dal confessore il percorso da seguire per confermare l’assoluzione entro un mese.
Inoltre, la disposizione canonica non era affatto rigida. Essendo il vescovo diocesano anche moderatore della disciplina della penitenza, come è previsto dall’ Ordo Paenitentiae promulgato il 2 dicembre 1973 dalla Congregazione per il culto divino, egli può concedere a chi ritiene meglio o anche a tutti tale facoltà. E’ accaduto per esempio nella diocesi di Arezzo nel 2001. Il vescovo di allora mons. Gualtiero Bassetti il 21 maggio 2001 promulgò una “Nota pastorale sull’assoluzione del peccato di aborto” nella quale concedeva “a tutti i sacerdoti incardinati” la “facoltà di rimettere in foro interno sacramentale la censura latae sententiae relativa all’aborto prevista dal ca. 1398 del Codice di diritto canonico”. Cioè tutti i preti potevano dare l’assoluzione.
Bassetti, che poi è passato alla guida della diocesi di Perugia ed è stato nominato cardinale da papa Francesco, ha preso la stessa decisione anche per la diocesi di Perugia, mentre ad Arezzo la sua disposizione continua ad essere valida. A Vicenza la facoltà viene concessa a tutti i sacerdoti durante l’Avvento e la Quaresima. Sono solo due esempi. Naturalmente l’assoluzione prevede anche automaticamente la rimessa della scomunica. Lo aveva spiegato ai giornalisti mons. Fisichella presentando la Lettera Apostolica. La scomunica infatti, come è spiegato dai canoni 1358, comma 1 e 1347 comma 2 del Codice di diritto canonico, non è una pena perpetua perché viene rimessa non appena chi è scomunicato dà prova di pentimento.
La Chiesa fin dai primi secoli ha sempre sanzionato l’aborto considerato un peccato e un delitto a livello giuridico, cioè una grave violazione della norma che vieta di uccidere la vita generata nel grembo materno, per il quale la pena è la scomunica latae sententiae, cioè automatica. Siccome ogni delitto è un peccato grave, se viene assolto il peccato automaticamente viene rimessa la pena per il delitto. Non c’è bisogno che il sacerdote in confessione pronunci una formula speciale per rimettere la scomunica, anche se alcuni vescovi hanno consigliato in questi anni, prima di dare l’assoluzione di pronunciare una formula “ti assolvo dal vincolo della scomunica”, perché sia più chiara la gravità dell’atto commesso e la forza della misericordia di Dio.
Adesso la norma diventa generale e l’ostacolo della delega del vescovo ad uno o più o tutti i sacerdoti per volere del papa sparirà. Bisogna quindi cambiare il Codice di diritto canonico, che al canone 969 prevede la delega. Ma non cambierà la norma sulla scomunica, proprio perché l’aborto è considerato delitto oltre che peccato grave.