Egregio direttore, ho letto con interesse sul n. 4 l’articolo “Abusi sui minori, sempre più tolleranza zero”. Io, come tantissime altre vittime, sto aspettando da tempo che anche in Italia, come già in altri Paesi, si faccia davvero qualcosa di serio e concreto perché il fenomeno di abuso sui minori e su adulti vulnerabili sia fermato e si faccia giustizia. Al momento, la persona più decisa e determinata sulla “tolleranza zero” è papa Francesco; mi auguro che anche i vescovi italiani inizino ad affrontare i problemi e a non coprire o svalutare i casi di abuso sessuale in ambito ecclesiale. Oggi le scrivo soprattutto perché non condivido il termine “ex abusati” usato dal giornalista Orazio La Rocca che ha scritto l’articolo. Sono offesa e scandalizzata, come immagino tante altre vittime che possono aver letto il testo. Una vittima non potrà mai essere una “ex” perché le ferite profonde che ognuno di noi porta sul proprio corpo non scompaiono. Mai! Non “cadono in prescrizione” come ha detto spesso papa Francesco che ha davvero capito (forse è l’unico!) il vero nostro dolore, il nostro dramma e la morte che ci portiamo nel cuore. Anche se una vittima, nonostante tutto, è riuscita a sposarsi oppure è diventata suora (o lo è rimasta), ciò non toglie che le ferite non scompaiono, non si rimarginano.
Come ben saprà, ci sono vittime che non hanno retto e si sono addirittura suicidate. Allora le chiedo, almeno su Famiglia Cristiana, non scrivete più “ex abusata” o “ex vittima” perché le ferite di un abuso (spesso reiterato e durato anni) ce le portiamo nella tomba. Non bastano neppure anni di colloqui con psicoterapeuti per guarire, anche se ci aiutano a stare meglio. Io stessa ho sofferto molto, moltissimo, anche se ho fatto un percorso di rinascita, come ho raccontato alla giornalista Luisa Bove che ha scritto la mia storia in Giulia e il Lupo, ma oggi sono e resto una persona purtroppo vittima di un crimine tremendo. A distanza di anni la nostra vita riparte, il dolore si attenua trasformando il nostro cuore che magari, con fatica, torna anche a cercare Dio, ma la ferita rimane. La prima forma di giustizia verso di noi è proprio il rispetto per le nostre storie e le nostre ferite!
GIULIA (VITTIMA DI ABUSO)
Cara Giulia, hai ragione. A volte, in maniera involontaria ma poco sorvegliata, si versa nuovo sale sulle ferite. L’intento era aprire uno spiraglio al futuro, ma una vittima rimane tale per sempre. Un termine forse ancora più appropriato è stato proposto dalla teologa Karlijn Demasure sull’ultimo numero di Jesus, in un dibattito dedicato agli abusi sessuali del clero: «Anche le vittime non vogliono più essere chiamate così, oggi parliamo di sopravvissuti. Vuol dire che hanno vinto il trauma». Le ha fatto eco Anna, una donna che ha subìto abusi da parte di un prete: «Ringrazio per queste parole, perché per chi ha vissuto tanti anni nel silenzio, le parole assumono un senso di sacralità, e già passare dal termine vittima a quello di sopravvissuta mi fa respirare. L’abuso perpetrato da parte di un religioso influisce tantissimo sulla sfera spirituale della persona, la distrugge, la disintegra…».
«Recuperare una dimensione di fede», ha continuato Anna, «è un lavoro faticosissimo, pari a quello sull’identità corporea e sessuale... Ed è anche difficile trovare un aiuto. Io sono stata fortunata perché, se un uomo di Chiesa mi ha ferito profondamente, ho però trovato degli uomini di fede e di Chiesa splendidi che mi hanno aiutato a ritrovare un po’ di serenità. Però devi andare a cercartelo, perché una persona capace di accettare e di accogliere un dolore del genere non è facile da trovare».