Francesca Ortali.
La steppa, il deserto e le montagne ricoperte di vegetazione. E un popolo fiero delle proprie origini, che affronta le asprezze di una natura inospitale con straordinaria dignità. La Mongolia è un Paese affascinante, anche se non privo di ferite e contrasti. Lì opera da oltre 30 anni l’Aifo (l’Associazione italiana amici di Raoul Follereau, aifo. it) per portare salute e pienezza di vita a chi convive con la disabilità (si tratti di problemi motori, sensoriali o psichici). L’organizzazione non governativa ha maturato una profonda conoscenza dello Stato asiatico, tanto che oggi può porsi, con autorevolezza, come un ideale ponte tra Oriente e Occidente.
«Siamo arrivati in Mongolia per la prima volta nel 1991, su invito dell’Organizzazione mondiale della sanità», ricorda Francesca Ortali, responsabile Progetti esteri Aifo. «La richiesta era quella di avviare un Programma di riabilitazione su base comunitaria». Il Paese stava attraversando un periodo quanto mai delicato, con la transizione a un’economia di mercato dopo la caduta del blocco sovietico di cui, fino a quel momento, la Mongolia faceva parte. A distanza di anni (anche se sono stati fatti preziosi passi avanti) la vita delle persone con disabilità resta irta di ostacoli, resa più dura dal clima rigido (d’inverno le temperature scendono fin sotto i -30°C) e dall’essenzialità di un’esistenza che, per chi abita nelle steppe, è tuttora governata dai ritmi e dai cicli della pastorizia nomade.
«Bisogna fare i conti con distanze immense», spiega Ortali. «Ed è difficile anche chiedere aiuto. Immaginiamo un bimbo che, a causa di complicanze durante il parto, sia nato con una lieve lesione cerebrale, o anche solo con problemi di deglutizione. La mamma di quel bimbo sa che la persona a lei più vicina può trovarsi a tre chilometri di distanza. E davvero non sa come fare». Ciò che serviva, dunque, era un sistema di coordinamento che valorizzasse e mettesse in rete i punti di riferimento esistenti, partendo dai singoli villaggi e coinvolgendo il più possibile le professionalità locali.
Ed è esattamente ciò che Aifo ha fatto e continua a fare. «Non potrò mai dimenticare gli occhi di alcune mamme di bambini con disabilità quando, ritrovandosi insieme in uno dei nostri centri, scoprirono di non essere sole al mondo». Tra i più grandi meriti dell’associazione c’è proprio quello di aver costruito una rete «che ormai è sempre meno “nostra” e sempre più patrimonio del popolo mongolo e delle sue istituzioni. Anche il personale sanitario, a meno che ci sia bisogno di consultare degli specialisti, è quasi tutto locale». È nata perfino una Ong parallela, che si chiama Tegsh Niigem e che, mantenendo i contatti con Aifo, lavora a coraggiosi progetti di inclusione. Tra questi, nella capitale Ulan Bator, il Caffè Up, un bar interamente gestito da ragazzi con disabilità. Prezioso anche il lavoro di ricerca che Aifo svolge sulle tecnologie finalizzate agli strumenti per la compensazione di una difficoltà fisica, si tratti di occhiali, carrozzine o prodotti informatici.
In Mongolia, come in tutto il mondo, l’associazione opera nell’estremo rispetto della cultura e della religione locale, in questo caso il buddhismo lamaista, senza per questo dimenticare le radici cristiane che la legano a Follereau. «Ecco perché siamo felici che il Papa visiti il Paese e siamo convinti che venga accolto con affetto, in virtù del suo respiro ecumenico e del suo impegno per la fratellanza e la pace».