Che le nostre scelte alimentari abbiano un impatto determinante sull'ambiente è, ormai, un dato assodato. Quella che molti ignorano, invece, è la faccia nascosta di questa stessa medaglia, poco raccontata, ma altrettanto preoccupante: protagonista, l'acqua.
La tutela della biodiversità, la riduzione dell'inquinamento, la lotta al cambiamento climatico, una maggiore equità nella gestione globale del cibo sono elementi essenziali, imprenscindibili, nella promozione di modelli alimentari a basso impatto ambientale ma fino a quando non si formerà una rinnovata consapevolezza dell'importanza dei sistemi idrici che quotidianamente e indiscriminatamente erodiamo non assisteremo a un reale cambio di rotta. Con un conto da pagare salatissimo per tutti.
A livello planetario la disponibilità pro capite d'acqua dolce è in costante, inesorabile, diminuzione e l'aumento demografico (e di consumi) non segna certamente un orizzonte positivo in questo senso. Il Wwf ha identificato nell'impronta idrica lo strumento attraverso cui porre all'attenzione della comunità internazionale, a qualsiasi livello, un punto di vista inedito sugli sprechi di cui tutti siamo protagonisti, forse inconsapevoli, ma non per questo meno colpevoli: attraverso l'impronta idrica, in altre parole, si ha l'opportunità di veder emergere il consumo nascosto di risorse idriche, evidenziandone la dipendenza dalle acque di altri Paesi e mostrando gli impatti sulle nostre stesse risorse idriche nazionali con i riflettori accesi sulla produzione di tutti i beni destinati al consumo interno o all'esportazione.
Il report del Wwf "L'impronta idrica dell'Italia", entra a gamba tesa anche su chi pensa di avere la coscienza a posto perché fa la raccolta differenziata, mangia "bio" e ricicla la carta dell'ufficio. A questo proposito risulta utile introdurre il concetto di acqua virtuale, cioè la quantità di risorse idriche impiegate per produrre cibo e altri prodotti invisibile ai consumatori finali pur essendo stata utilizzata lungo tutta la filiera.
I dati sono sbalorditivi... in negativo: l'impronta idrica totale della produzione in Italia ammonta a circa 70 milioni di metri cubi di acqua ogni anno, cioè 3.353 litri per persona al giorno. Il settore economico più assetato, com'è facile immagine, è l'agricoltura: produzioni agricole (85%), che comprendono l’uso di acqua per la produzione di colture destinate all’alimentazione umana e al mangime per il bestiame (75%), per pascolo e allevamento (10%). Il restante 15% dell’impronta idrica della produzione è suddiviso tra produzione industriale (8%) e uso domestico (7%).
Discorso diverso nella forma, ma purtroppo simile nella sostanza, interessa l'impronta idrica dei consumi: il volume totale di acqua dolce utilizzato per produrre i beni ei servizi consumati dagli abitanti della nazione, è di circa 132 milioni di m3 di acqua l’anno, che corrispondono a 6.309 litri pro capite al giorno e comprende, dunque, anche i consumi derivanti dalle importazioni. Da solo, il consumo di cibo (che include sia prodotti agricoli sia di origine animale) contribuisce all’89% dell’impronta idrica totale giornaliera degli italiani. Il consumo di acqua per usi domestici (per pulire, cucinare, bere, etc.) è solo il 4 % dell’acqua che consumiamo ogni giorno, mentre l’acqua “incorporata” nei prodotti industriali rappresenta il 7%.
In Europa, l’Italia è tra i paesi con la maggiore impronta idrica, essendo del 25% più alta della media dell’Unione europea, che ammonta a 1.836 m3 pro capite l’anno, ed essendo più alta anche rispetto alla maggior parte dei paesi vicini, come Francia e Germania. A livello globale, l’impronta idrica dell’Italia è il 66% più alta della media mondiale, che ammonta a 1.385 m3 pro capite l’anno. Per quanto riguarda le principali economie non-UE, l’Italia si colloca tra i paesi che consumano più acqua pro capite, dopo Stati Uniti, Canada e Australia.
Un dato, su tutti, invita a prendere al più presto decisioni "individuali" nette e a fare scelte politiche decise: il 63% dell’acqua virtuale contenuta nei prodotti agricoli consumati in italia è importato, così come è importato anche il 65% dell’acqua contenuta nei prodotti industriali.
Tanto per intendersi, l’Italia si classifica come il terzo importatore netto di acqua virtuale al mondo (circa 62 milioni di m3 l’anno), dopo Giappone e Messico e subito prima di Germania e Regno Unito. Oltre il 50% dell’acqua viene praticamente importata mediante l’acqua “incorporata” negli alimenti provenienti da dieci diversi Paesi. Alcuni tra questi (India, Argentina , USA e Brasile) sono tra i maggiori esportatori netti al mondo di acqua virtuale; altri (Francia, Germania , Paesi Bassi e Federazione Russa) sono Paesi con abbondante acqua al loro interno. Circa l’11% delle “importazioni” italiane di acqua virtuale proviene da paesi con carenza idrica, come Spagna (6%) e Tunisia (5%), contribuendo in tal modo ad aggravare la pressione sulle già limitate risorse idriche.