«Il monastero di Viboldone è come una luce, ma il mio ascolto è stato preparato durante gli anni di fabbrica, con il vociferare dei motori. È in mezzo al rumore che ho ricevuto il dono del silenzio».
Don Luisito Bianchi, per molti anni cappellano del monastero benedettino guidato da madre Ignazia Angelini, aveva il fare del monaco anche se era rimasto sempre prete diocesano. È morto ieri, all’età di 84 anni dopo anni di sofferta malattia. Insegnante e traduttore, prete-operaio e inserviente d'ospedale, è noto soprattutto per il suo libro La messa dell’uomo disarmato, romanzo cristiano sulla resistenza e per le sue prese di posizione per una Chiesa povera accanto ai poveri.
Finché le forze glielo hanno consentito ha sempre fatto la spola tra il monastero, cuore della diocesi ambrosiana, e la città perché, diceva, «c’è sempre una tentazione: quella di confinare la preghiera, la fede, il silenzio, il dono gratuito di Dio, all’interno di una istituzione. Il silenzio non è patrimonio dei monasteri, è una grazia. Ed è grazia quando si vive in un monastero, quando si lavora, quando si è a casa propria. Anche per rendere evidente questo non confinarsi in una struttura, da anni, io trascorro una settimana qui e una nella mia città. Da quando ho avuto un piccolo incidente mi sono dovuto fermare qui, ma al più presto spero di poter riprendere il mio andirivieni. Non dobbiamo cedere alla tentazione dei discepoli che chiedono al Signore "facciamo tre tende"».
I funerali si svolgeranno sabato alle 11.30 presso l’abbazia di Viboldone a San Giuliano milanese.