“Scusa,
posso farti una foto?”. Mario Dondero, morto la sera del 13
dicembre a 87 anni, è stato uno dei più grandi fotografi del
Novecento, ma ancora un anno fa, con la sua Leica al collo, si
agirava nella sala dibattiti del seminario del Redattore Sociale a
Capodarco, chiedendo permesso agli amici prima di scattare una
fotografia. E alcuni dei presenti, come il giornalista Bernardo
Valli, quasi coetaneo, erano amici di una vita. Eppure Mario chiedeva
ancora permesso. Come se fosse un principiante.
A Mario abbiamo
voluto bene anche perché era fatto così. Umile. Dolce. Fraterno.
C'è una frase, fulminante, che riassume tutta la sua vita. Me la
disse quando lo incontrai a Roma pochi giorni dopo il suo ottantesimo
compleanno. Per l'occasione i più importanti quotidiani gli avevamo
dedicato articoli e interviste. “Sei contento?”, gli chiesi. Lui
rispose: “Sì, certo, mi fa piacere tanto affetto perché io in
fondo nella vita ho sempre cercato di vivere all'altezza delle
margherite”.
Significava,
per Mario, stare sempre all'altezza delle persone semplici. Quelle
con cui si trovava subito in sintonia. Chiunque lo incontrava restava
immediatamente affascinato dalla sua personalità. In quel giorno di
festeggiamento e intervista per il suo compleanno lo portai a pranzo
in una trattoria di pesce a Roma. Mangiò e bevve di gusto con
numerosi brindisi improvvisati in onore di amici comuni che ci
capitava di citare nel corso della conversazione. I gestori del
locale non sapevano chi fosse e lo vedevano per la prima volta, ma
quando ce ne andammo la cuoca, con i lucciconi agli occhi, disse:
“Che bella persona, è come se ci conoscessimo da una vita”.
Nato
a Milano nel 1928, Dondero da ragazzo era affascinato dal mare.
“Stavo per iscrivermi all'Istituto Nautico di Camogli, ma poi mi è
venuta la scarlattina e non ci sono più andato”, raccontava. Il
marinaio mancato si dedicò al giornalismo, prima come giornalista
(“Non amo la parola reporter perché mi fa pensare a cani come il
labrador o il golden retriever”) e in seguito come fotografo. I
suoi esordi con la macchina fotografica Mario li raccontava con
leggerezza: “Avevo il senso di colpa di chi si diverte a scattare
fotografie mentre il giornalista faceva un lavoro molto più
impegnativo del mio”. Vedere le sue foto pubblicate lo rendeva
felice. Diceva: “Vedere in treno uno che sfoglia il giornale dove
c'è una tua foto ti dà il senso della tua presenza nel grande fiume
della vita”.
Nel
1954 Dondero si trasferì a Parigi. Ma la capitale francese per lui
fu soprattutto un punto di partenza per i suoi reportage in giro per
il mondo. In decenni di lavoro Mario ha ritratto attori e scrittori,
politici e rivoluzionari, soldati in guerra e contadini nei campi
(“Sono specialista nel ritrarre bovini”, diceva serio e alcune
sue foto lo confermano), maestre in biciclette e avventori di bar. Ci
ha lasciato memorabili ritratti di Pier Paolo Pasolini (bellissimo il
ritratto con la madre), Vittorio Gassman, Maria Callas, Charlie
Chaplin, Primo Levi e dei principali scrittori francesi degli anni
'60 e '70.
Mario
si definiva “miscredente” (avrà un funerale laico nel pomeriggio
del 16 dicembre a Fermo), ma ricordava sempre con piacere i lunghi
anni di collaborazione con Famiglia Cristiana. “E' un
giornale che mi piace per la sua attenzione alle persone e ai temi
sociali”, diceva. “La conoscenza dell'umanità è stata ed è la
molla per continuare a fare questo mestiere”, disse un anno fa in
una intervista ad Avvenire.
La
sua passione per le persone era costante. Una volta che da Parigi
doveva mandare delle fotografie in redazione a Milano (ancora non
c'era il digitale), Mario rifiutò di affidarsi ad un impersonale
servizio di spedizioni via corriere e affidò i rullini a un suo
amico ferroviere in servizio sul treno notturno fra Parigi e Milano.
Quando anni fa andammo insieme in Sardegna per un reportage propose
di non andare in albergo, ma di pernottare presso una certa vecchina
affittacamere di cui aveva saputo non so più come. Ero un po'
perplesso, ma alla fine aveva ragione lui e il soggiorno dalla
signora Annetta fu piacevole e memorabile. Di quel viaggio ricordo
quando, percorrendo in auto una strada in discesa tutta a curve, ci
trovammo nella scia di un ciclista. Era impossibile superarlo e
pennellava le curve con maestria. Mario lo guardava ammirato. Quando
infine arrivammo su un rettilineo, sorpassai il ciclista. Mario si
sporse dal finestrino, agitò la mano e gli gridò un sonoro e
affettuoso “arrivederci!”. Ti spiazzava con gesti così.
Da
anni Dondero viveva a Fermo, nelle Marche, ma il nome del posto
contraddiceva la sua voglia di viaggiare. Lo scorso gennaio, all'inaugurazione della sua mostra alle Terme di Diocleziano a Roma, confidava: "Non ho ancora deciso che cosa fotograferò da vecchio". Resta memorabile, in questi
ultimi anni della sua vita, il suo reportage sulle attività
umanitarie di Emergency in Afghanistan.
E
il nome dell'associazione di Gino Strada fa affiorare dalla memoria
l'immagine di Mario, che una sera d'agosto di sette anni fa, si sfila
la camicia per andare a dormire e resta con la maglietta di
Emergency. Aveva telefonato all'ultimo momento chiedendo se potevo
ospitarlo una notte che era di passaggio di Roma. Aveva ottant'anni
ma con indosso quella maglietta sembrava un ragazzo. Restai a
guardarlo ammirato.
Mario
se ne andò la mattina dopo, chissà per dove, e per sdebitarsi mi
lasciò il libro di storie partigiane che stava leggendo. Fraterno e
generoso, come sempre.