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venerdì 18 aprile 2025
 
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Mario Dondero, il grande della fotografia che chiedeva: "Scusa, posso farti una foto?"

16/12/2015  Ricordo del fotografo morto a Fermo all'età di 87 anni. Collaborò a lungo anche con "Famiglia Cristiana", di cui ammirava l'attenzione alle persone e ai temi sociali.

Scusa, posso farti una foto?”. Mario Dondero, morto la sera del 13 dicembre a 87 anni, è stato uno dei più grandi fotografi del Novecento, ma ancora un anno fa, con la sua Leica al collo, si agirava nella sala dibattiti del seminario del Redattore Sociale a Capodarco, chiedendo permesso agli amici prima di scattare una fotografia. E alcuni dei presenti, come il giornalista Bernardo Valli, quasi coetaneo, erano amici di una vita. Eppure Mario chiedeva ancora permesso. Come se fosse un principiante.
A Mario abbiamo voluto bene anche perché era fatto così. Umile. Dolce. Fraterno. C'è una frase, fulminante, che riassume tutta la sua vita. Me la disse quando lo incontrai a Roma pochi giorni dopo il suo ottantesimo compleanno. Per l'occasione i più importanti quotidiani gli avevamo dedicato articoli e interviste. “Sei contento?”, gli chiesi. Lui rispose: “Sì, certo, mi fa piacere tanto affetto perché io in fondo nella vita ho sempre cercato di vivere all'altezza delle margherite”.

Significava, per Mario, stare sempre all'altezza delle persone semplici. Quelle con cui si trovava subito in sintonia. Chiunque lo incontrava restava immediatamente affascinato dalla sua personalità. In quel giorno di festeggiamento e intervista per il suo compleanno lo portai a pranzo in una trattoria di pesce a Roma. Mangiò e bevve di gusto con numerosi brindisi improvvisati in onore di amici comuni che ci capitava di citare nel corso della conversazione. I gestori del locale non sapevano chi fosse e lo vedevano per la prima volta, ma quando ce ne andammo la cuoca, con i lucciconi agli occhi, disse: “Che bella persona, è come se ci conoscessimo da una vita”.

Nato a Milano nel 1928, Dondero da ragazzo era affascinato dal mare. “Stavo per iscrivermi all'Istituto Nautico di Camogli, ma poi mi è venuta la scarlattina e non ci sono più andato”, raccontava. Il marinaio mancato si dedicò al giornalismo, prima come giornalista (“Non amo la parola reporter perché mi fa pensare a cani come il labrador o il golden retriever”) e in seguito come fotografo. I suoi esordi con la macchina fotografica Mario li raccontava con leggerezza: “Avevo il senso di colpa di chi si diverte a scattare fotografie mentre il giornalista faceva un lavoro molto più impegnativo del mio”. Vedere le sue foto pubblicate lo rendeva felice. Diceva: “Vedere in treno uno che sfoglia il giornale dove c'è una tua foto ti dà il senso della tua presenza nel grande fiume della vita”.

Nel 1954 Dondero si trasferì a Parigi. Ma la capitale francese per lui fu soprattutto un punto di partenza per i suoi reportage in giro per il mondo. In decenni di lavoro Mario ha ritratto attori e scrittori, politici e rivoluzionari, soldati in guerra e contadini nei campi (“Sono specialista nel ritrarre bovini”, diceva serio e alcune sue foto lo confermano), maestre in biciclette e avventori di bar. Ci ha lasciato memorabili ritratti di Pier Paolo Pasolini (bellissimo il ritratto con la madre), Vittorio Gassman, Maria Callas, Charlie Chaplin, Primo Levi e dei principali scrittori francesi degli anni '60 e '70.

Mario si definiva “miscredente” (avrà un funerale laico nel pomeriggio del 16 dicembre a Fermo), ma ricordava sempre con piacere i lunghi anni di collaborazione con Famiglia Cristiana. “E' un giornale che mi piace per la sua attenzione alle persone e ai temi sociali”, diceva. “La conoscenza dell'umanità è stata ed è la molla per continuare a fare questo mestiere”, disse un anno fa in una intervista ad Avvenire.

La sua passione per le persone era costante. Una volta che da Parigi doveva mandare delle fotografie in redazione a Milano (ancora non c'era il digitale), Mario rifiutò di affidarsi ad un impersonale servizio di spedizioni via corriere e affidò i rullini a un suo amico ferroviere in servizio sul treno notturno fra Parigi e Milano. Quando anni fa andammo insieme in Sardegna per un reportage propose di non andare in albergo, ma di pernottare presso una certa vecchina affittacamere di cui aveva saputo non so più come. Ero un po' perplesso, ma alla fine aveva ragione lui e il soggiorno dalla signora Annetta fu piacevole e memorabile. Di quel viaggio ricordo quando, percorrendo in auto una strada in discesa tutta a curve, ci trovammo nella scia di un ciclista. Era impossibile superarlo e pennellava le curve con maestria. Mario lo guardava ammirato. Quando infine arrivammo su un rettilineo, sorpassai il ciclista. Mario si sporse dal finestrino, agitò la mano e gli gridò un sonoro e affettuoso “arrivederci!”. Ti spiazzava con gesti così.

Da anni Dondero viveva a Fermo, nelle Marche, ma il nome del posto contraddiceva la sua voglia di viaggiare. Lo scorso gennaio, all'inaugurazione della sua mostra alle Terme di Diocleziano a Roma, confidava: "Non ho ancora deciso che cosa fotograferò da vecchio". Resta memorabile, in questi ultimi anni della sua vita, il suo reportage sulle attività umanitarie di Emergency in Afghanistan.

E il nome dell'associazione di Gino Strada fa affiorare dalla memoria l'immagine di Mario, che una sera d'agosto di sette anni fa, si sfila la camicia per andare a dormire e resta con la maglietta di Emergency. Aveva telefonato all'ultimo momento chiedendo se potevo ospitarlo una notte che era di passaggio di Roma. Aveva ottant'anni ma con indosso quella maglietta sembrava un ragazzo. Restai a guardarlo ammirato.

Mario se ne andò la mattina dopo, chissà per dove, e per sdebitarsi mi lasciò il libro di storie partigiane che stava leggendo. Fraterno e generoso, come sempre.

 

 

 

 

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