Lunedì 2 settembre si è spento nella sua Pistoia, dopo lunga malattia, il teologo Giordano Frosini, che ho avuto la fortuna di conoscere personalmente e che mi ha onorato della sua amicizia e stima, pienamente ricambiate da parte mia. Più che un ricercatore è stato anzitutto un divulgatore e un animatore. Ha infatti saputo trasmettere riflessioni teologiche profonde e molto ben documentate con un linguaggio accessibile e ricco di fascino, mai banale o scontato, ma sempre capace di “far pensare” i suoi lettori e interlocutori, compreso il sottoscritto. Non si è infatti lasciato irretire dal mondo accademico, dove pure ha svolto la sua docenza, ma ha saputo offrire uno splendido esempio di una “teologia in uscita”, di cui oggi abbiamo tanto bisogno, a servizio di una “chiesa in uscita”. Pur essendosi formato alla Gregoriana pre-conciliare, dove certo non si praticava un sapere particolarmente innovativo, ha abbracciato l’insegnamento del Vaticano II, approfondendolo e diffondendolo con passione e convinzione. La sua produzione teologica ha occupato le diverse tematiche del sapere della fede, con particolare attenzione alla città (polis), alle realtà terrene, alla laicità, alla spiritualità della politica e ai grandi temi fondativi del cristianesimo.
Come animatore ha formato diverse generazioni di giovani intellettuali pistoiesi (e non), che hanno saputo ripagarlo col loro affetto e direi quasi con la loro devozione. Ma ha messo in atto un vero e proprio “progetto culturale” nella sua città e nel territorio attraverso il Centro Maritain, le settimane teologiche e la direzione del settimanale diocesano La vita. È ancora molto vivo in me il ricordo delle due più recenti occasioni di incontro a cui ha voluto invitarmi. La prolusione alle settimane teologiche, per la quale mi ha affidato il tema del “Cristo dei non credenti”, caro anche al mio venerato maestro padre Xavier Tilliette, che ci ha lasciato alcuni mesi or sono. E ricordo anche il dibattito sulla riforma, a cinquecento anni dal suo albeggiare, al quale, insieme al sottoscritto ha chiamato il collega luterano Lothar Vogel. I suoi interventi in quelle occasioni sono stati sempre provocatori e fecondi perché si potesse procedere ad ulteriori approfondimenti. Attenzione ai non credenti e dialogo interconfessionale sono state due costanti del suo pensiero.
Mi piace ricordare qui le risposte che offriva come teologo alle domande dei lettori di Famiglia cristiana, molte delle quali riguardavano il destino dell’uomo oltre la morte. A un lettore che gli chiedeva se la parousia fosse da considerare ormai vicina, rispondeva, concludendo la sua riflessione: Il cristianesimo è religione di gioia e di speranza, non di spavento e di rassegnazione.
Era un prete non clericale e per questo ha dovuto scontrarsi (scontroso lo era anche lui) con l’incomprensione e l’ignoranza, la diffidenza e l’accusa di uomini non di chiesa, ma semplicemente clericali, come accade a chi metta in atto una fedeltà creativa, soprattutto in un ambiente di provincia, ma non ha mai abbandonato il sorriso e l’ironia, quasi compiangendo chi non era in grado di percepire il messaggio radicale e rivoluzionario non suo ma del Vangelo. Ringrazio il Signore perché lo ha messo sul mio cammino e per quanto ho potuto imparare dalla sua persona e dalla sua competenza, ma più che di contenuti si è trattato di uno stile, che me lo ha reso molto vicino e mi ha fatto sentire in totale sintonia con lui.