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lutto
 

Addio a Luis Sepúlveda, una vita per la difesa del nostro pianeta

16/04/2020  Il grande scrittore, sceneggiatore, attivista politico e ambientalista cileno, 70 anni, è morto oggi all'ospedale di Oviedo, in Spagna, a causa del coronavirus. Era ricoverato dal 29 febbraio. Autore prolifico di romanzi e racconti, aveva scritto una fortunata serie di favole con gli animali come protagonisti. Pubblichiamo l'ultima intervista che aveva rilasciato a "Famiglia Cristiana" nel 2018 dal titolo "Salviamo la natura dall'avidità umana", in occasione dell'uscita di "Storia di una balena bianca raccontata da lei stessa".

(Foto Ansa: Luis Sepúlveda al Salone del libro di Torino nel 2019)

Dal suo Cile, agli estremi confini della terra, era partito verso il resto del mondo, viaggiando tanto in America latina, poi in Europa e in molti altri Paesi, spesso a bordo delle navi della Ong ecologista Greenpeace. Il viaggio di Luis Sepúlveda è arrivato al termine. Il grande scrittore, sceneggiatore, attivista politico e ambientalista cileno, 70 anni, si è spento oggi, a causa di una polmonite associata all'infezione del coronavirus, nell'ospedale di Oviedo, in Spagna, dove era stato ricoverato il 29 febbraio. Nei giorni precedenti lo scrittore era stato nel Nord del Portogallo, per partecipare a un festival letterario, e due giorni dopo il rientro nelle Asturie aveva cominciato ad avere i sintomi del virus. Anche sua moglie, la poetessa Carmen Yáñez, che aveva viaggiato con lui, aveva gli stessi sintomi: due settimane fa è risultata negativa al test. Oppositore della dittatura di Pinochet, dopo aver subìto il carcere e la tortura, aveva lasciato il Cile. Da anni si era stabilito è vivere nelle Asturie, a Gijón, sul Mar Cantabrico.

Il suo primo successo letterario era stato Il vecchio che leggeva romanzi d'amore, al quale ne seguirono molti altri, romanzi, raccolte di racconti, storie di viaggo, da La frontiera scomparsa a Patagonia express  a Le rose di AtacamaCon Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, nel 1996 inaugurò una fortunatissima serie di racconti, per bambini e adulti, che hanno per protagonisti gli animali e affrontano temi di carattere universale, dalla tolleranza all'amicizia, dalla fedeltà alla difesa della natura.

Famiglia Cristiana aveva anticipato l'uscita in Italia di alcuni di questi suoi racconti (pubblicati da Guanda) con interviste allo scrittore nelle quali Sepúlveda aveva raccontato di sé, della sua vita e dei grandi temi che gli stavano profondamente a cuore, dalla preservazione delle popolazioni indigene alla lotta contro i grandi poteri che minacciano la distruzione dell'ambiente.

Pubblichiamo qui di seguito l'ultima intervista a Famiglia Cristiana dal titolo Salviamo la natura dall'avidità umana, rilasciata nel 2018 - nel numero 46 della rivista - in occasione dell'uscita del libro Storia di una balena bianca raccontata da lei stessa.

 

Si narra che nel 1819 la baleniera Essex, salpata dalla costa atlantica degli Usa, navigò verso sud, fino allo Stretto di Magellano, passaggio dall’Atlantico al Pacifico. Un giorno del 1820, al largo di una terra apparentemente desolata, i balenieri avvistarono un gigantesco capodoglio albino. L’animale si scagliò con violenza  contro la nave, di fronte all’Isola Mocha. La baleniera andò in frantumi e quasi tutti i marinai morirono nelle acque del Pacifico. I pochi sopravvissuti raccontarono in seguito la storia e il capodoglio venne ribattezzato Mocha Dick. Da quella vicenda, Herman Melville trasse l’ispirazione per scrivere il suo famoso romanzo Moby Dick.

«Mi sono posto una domanda», spiega Luis Sepúlveda, «perché Moby Dick, la balena bianca di Melville, si comportò come viene narrato? E quando ho scoperto che nell’800 era davvero esistito un capodoglio chiamato Mocha Dick, allora mi sono reso conto che c’era una storia che aspettava solo di essere raccontata». Nasce così l’ultimo racconto del famoso scrittore cileno: Storia di una balena bianca raccontata da lei stessa (edito da Guanda). Una storia pensata per ragazzi e adulti, in cui il famoso scrittore e attivista cileno, 69 anni, torna con il suo coinvolgente stile narrativo a riflettere sui temi a lui più cari e urgenti: la devastazione della natura perpetrata dall’uomo, la scarsa coscienza ecologica, i diritti continuamente calpestati delle popolazioni indigene in Sudamerica, costrette ad abbandonare le loro attività di sostentamento tradizionali dall’egoismo dei grandi gruppi economici e industriali avidi di terre, dediti allo sfruttamento delle risorse del mare.

Sepúlveda, lei vive in Spagna, nelle Asturie, e ha scritto questo racconto di fronte al Mar Cantabrico. Un altro mare. Quanto è stato ed è importante il mare nella sua vita?

«Il Mar Cantabrico è parte dell’immenso Oceano Atlantico. Nella mia vita il mare è sempre presente. Sono nato in un Paese, il Cile, con quasi cinqumila chilometri di costa e per me il mare è sempre stato un invito a comprendere la grandezza della vita, della natura, della diversità esistente in questo enorme spazio senza frontiere. Non posso vivere lontano dal mare, ho bisogno della sua presenza. Per me è sinonimo della parola libertà».

Affronta il tema della caccia del balenieri: le sembra che oggi ci sia minore coscienza su questo problema? Come è cambiata la lotta ambientalista, dai tempi in cui lei navigava come attivista sulle navi di Greenpeace?

«I grandi problemi dell’ambiente sono sempre gli stessi, quasi inalterati. E sebbene in grandi settori delle società mondiali esista consapevolezza della gravità dei problemi, certamente il mondo è governato da interessi meschini, da multinazionali che agiscono senza rispondere delle proprie azioni davanti ad alcun Paese, Governo e tribunale. Viviamo immersi in un’idea di progresso irrazionale che mette in pericolo tutto il pianeta. Niente è cambiato».

Scrive dei Lafkenche, la “gente del mare”, un gruppo indigeno che fa parte dell’etnia Mapuche, che lotta per i suoi diritti territoriali, sociali, economici, per la sua cultura. A che punto è questa battaglia? I Lafkenche continuano a vivere di pesca artigianale?

«La loro lotta per riavere indietro le terre che sono state loro rubate a partire dall’indipendenza del Cile continua im- mutata e le loro richieste continuano a non ricevere risposte da parte dello Sta- to. I Lafkenche reclamano questo habitat necessario per la loro vita e sviluppo sociale, economico e culturale, per preservare le loro tradizioni. A oggi, l’unica risposta dello Stato cileno è stata disprezzo e repressione. L’unica regione del Cile dove si applicano odiose leggi “antiterrorismo” è proprio la regione dove sopravvivono i Mapuche, i Lafkenche, i Pewenche e altri gruppi della stessa etnia. I Lafkenche non possono più vivere della pesca artigianale. In Cile il mare è stato privatizzato, la costa è stata consegnata in maniera perpetua a sette grandi gruppi economici, sette famiglie. L’applicazione a oltranza del modello economico neoliberista imposto dalla dittatura di Pinochet ha significato la morte della pesca artigianale, dei collettivi dei piccoli pe- scatori, della cultura legata al mare».

In generale com’è oggi la situazione dei Mapuche?

«È drammatica. All’usurpazione sistematica delle loro terre si aggiunge la negazione della loro cultura, spiritualità, cosmogonia. In Cile lo Stato permette la presenza formale di certe manifestazioni indigene, che però non hanno alcuna rappresentanza nelle istituzioni. Nella regione della Araucanía, dove i Mapuche vivono in spazi sempre più esigui, non è stata concessa nemmeno l’educazione bilingue. E se questa va avanti è solo grazie alla buona volontà di professori mapuche che insegnano in spagnolo e mapudungún in forma volontaria».

In tutta l’America latina i gruppi indigeni, così come le altre minoranze come gli afrodiscendenti, sono minacciati: in Brasile è stato eletto un presidente, Jair Bolsonaro, che ha di- chiarato di non voler lasciare neppu- re un centimetro di terra agli indios. Cosa sta avvenendo in Brasile?

«Sta a accadendo una pericolosa involuzione della società. Sta rinascendo un neofascismo basato su un discorso semplicistico, che nega la complessità di una società in continuo movimento, e su un sistema economico, quello neoliberista, in costante crisi. La ricetta di Bolsonaro è molto semplice: c’è un colpevole di tutto e questo colpevole è l’altro, ovvero l’afrodiscendente, il nero, l’indio, in definitiva i poveri. E a questi colpevoli si aggiungono gli ecologisti, i giornalisti non allineati, il femminismo, la diversità sessuale. Da una parte, il sistema economico neoliberista chiede l’eliminazione dello Stato nell’economia, nel controllo dell’ambiente, nell’istruzione e nella conservazione dei diritti; dall’altra, la negligenza della parte più progressista della società che ha dimenticato di difendere la parte più sana dello Stato, come garante di tutte le libertà. Questa negligenza nel difendere la laicità dello Stato ha reso possibile che le sette evangeliche arrivate dagli Usa, che nulla hanno a che fare con il cattolicesimo e il protestantesimo, siano entrate nel discorso politico della destra. E questo sta succedendo in molti Paesi dell’America latina. Il fondamentalismo pseudoreligioso è la base delle idee contro i neri, gli indios, i poveri».

Donald Trump?

«È l’opposto di tutto ciò che significa evoluzione. Con lui stiamo vivendo una regressione alla Guerra fredda».

Un altro mare, il Mediterraneo. Cosa pensa della crisi dei migranti in Europa?

«La storia dell’umanità è la storia dei grandi movimenti migratori. Manca la memoria del passato recente degli europei come migranti e come potenze coloniali in Africa. E soprattutto manca la generosità per capire che il fenomeno migratorio, lungi dall’essere un problema, è un dramma umano. E noi dobbiamo affrontare questo dramma dalla prospettiva dell’umanità».

 
 
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