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Ormai era diventato familiare a tutti gli italiani quel suo faccione, l’immancabile papillon, quel suo ammiccante abbassarsi l’occhialino tondo sul naso prima di descrivere l’ennesimo capolavoro. Non lo sentiremo più dissertare d’arte, come solo lui sapeva fare. Philippe Daverio, gallerista, docente, saggista, storico dell’arte, fine intellettuale, s’è spento la notte scorsa all'istituto dei Tumori di Milano. Aveva 71 anni.
Lontanissimo dalla retorica accademica, e dall’ingessato modo di spiegare, lui che accademico non era, non era neanche laureato, ha rivoluzionato la divulgazione artistica televisiva e non solo, trasformandola in una conversazione brillante, mai banale, anzi originalissima, quasi una piccola opera d’arte comunicativa sull’opera d’arte figurativa.
Chi non ricorda almeno una delle tante puntate di Passepartout, geniale programma nato su Rai 3, quasi vent’anni fa, da lui scritto e condotto, in cui raccoglieva attorno a una tavola un selezionato gruppo di commensali capaci di confrontarsi su un percorso storico-artistico, tra un vino e una portata? Da padrone di casa, più che da professore, passava la parola e la riprendeva ammaliando i telespettatori ogni sera su un tema diverso: dalla “saga dei Gonzaga” a una spolverata di Parmigianino”, dal “Va’ pensiero” a “Leonardo l’anarchico”; eccentrico e anticonformista pure nei titoli, sapeva portare nelle case, attraverso il piccolo schermo, il “bello”, in ogni sua declinazione, epoca e luogo. Fu, in altri termini, un elegantissimo innovatore del modo di fare cultura; coltissimo, spezzava il pane duro della storia dell’arte, mai da saccente interlocutore, ma da appassionato e appassionante cultore della materia. Uno splendido “irregolare” della cultura italiana, uomo libero, sempre arguto e spiazzante.
D’altra parte il suo amore per l'arte era nato a 10 anni, visitando la Villa Imperiale di Pesaro, non la Reggia di Versailles, come qualcuno ha notato. La sua "formazione" è extra-vagante, fatta viaggiando sempre moltissimo, e sempre fuori dalle polverose accademie.
Era nato in Francia a Mulhouse, il 17 ottobre 1949 da padre italiano, quarto di sei figli. Eccentrico anche nella formazione: “bocconiano” senza essersi mai laureato in Economia e commercio, ma avendo dato tutti gli esami. Su ciò autoironizzava dicendo: «Io non sono dottore perché non mi sono laureato, ero iscritto alla Bocconi nel 1968-1969, in quegli anni si andava all'università per studiare e non per laurearsi». Nel 1975 apre la galleria che porta il suo nome "Galleria Philippe Daverio", in via Monte Napoleone 6 a Milano, dove si occupa prevalentemente di movimenti d'avanguardia della prima metà del Novecento. Nel 1986 apre a New York la "Philippe Daverio Gallery" rivolta all'arte del XX secolo. Tre anni dopo apre sempre a Milano una seconda galleria di arte contemporanea. Non si fa mancare neanche l’esperienza in politica, considerata sempre come servizio alla comunità: dal dal 1993 al 1997 nella giunta Formentini del comune di Milano ricopre l'incarico di assessore alla Cultura.
Con la casa editrice Rizzoli ha pubblicato alcuni dei suoi più importanti saggi (Il museo immaginato, Il secolo lungo della modernità, Guardar lontano veder vicino, Il secolo spezzato delle avanguardie, La buona strada, L'arte in tavola e Il gioco della pittura). Ma sarà la tv a farlo diventare volto noto agli italiani, fin dal 1999 quando gli viene offerto il ruolo di inviato speciale alla trssdmissione di Rai 3 Art’è.
“Intellettuale di straordinaria umanità - così il Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo, Dario Franceschini -, un capace divulgatore della cultura, uno storico dell'arte sensibile e raffinato. Con sagacia e passione, ha accompagnato le italiane e gli italiani nell'affascinante scoperta delle architetture, dei paesaggi, dell'espressione creativa, degli artisti, delle fonti del nostro patrimonio culturale. Tutto questo era Philippe Daverio, un uomo di cui ho sempre apprezzato la grande intelligenza e lo spirito critico e che già manca a tutti noi".
"Con Philippe Daverio scompare uno dei grandi protagonisti della vita culturale di Milano degli ultimi decenni". Così il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, ha ricordato sulla sua pagina Facebook lo storico dell'arte. "Daverio è stato un innamorato di Milano cui ha sempre dato la forza della sua originalità e della sua competenza, dal Comune alla Scala fino al Museo del Duomo e a Brera. L'ho visto all'opera in tanti frangenti, non sempre ho condiviso le sue posizioni, ma mi ha sempre colpito la sua libertà di pensiero. - ha aggiunto - Soprattutto Milano e l'Italia devono allo spirito internazionale e alla capacità comunicativa di Philippe la sua lotta in difesa del bello e dell'arte del nostro paese di cui fu un instancabile e geniale divulgatore. Grazie, Philippe, and 'save Italy'”..
Diceva Daverio: “Sono ancora convinto che la cultura salverà il mondo”. Ha fatto di tutto per darle una mano.