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Addio a Raffaella Carrà, il sorriso che ha appassionato generazioni d'italiani

05/07/2021  Icona della Tv italiana, presentatrice, cantante e ballerina. Se n’è andata a 78 anni dopo una veloce malattia. Il compagno Iapino: «È andata in un mondo migliore, dove la sua umanità, la sua inconfondibile risata e il suo straordinario talento risplenderanno per sempre». L’intervista scoop a Madre Teresa di Calcutta, la preghiera costante e i figli adottati a distanza: «Il destino non mi ha mai lasciata sola»

«Ho più paura che la gente dica: “Ancora lei!”, piuttosto che: “Dove è andata a finire?”». Raffaella Carrà (il suo vero nome era Raffaella Maria Roberta Pelloni) nella sua lunghissima carriera tra Tv e cinema non ha mai corso questo pericolo. Era nata a Bologna il 18 giugno 1943. La notizia della sua morte, inaspettata, è stata data da Sergio Iapino, suo compagno di vita, all’Ansa: «Raffaella ci ha lasciati. È andata in un mondo migliore, dove la sua umanità, la sua inconfondibile risata e il suo straordinario talento risplenderanno per sempre», ha detto, unendosi al dolore degli adorati nipoti Federica e Matteo, di Barbara, Paola e Claudia Boncompagni, degli amici di una vita e dei collaboratori più stretti. La Carrà si è spenta alle 16.20 di lunedì 5 luglio, dopo una malattia che, ha spiegato sempre Iapino, «da qualche tempo aveva attaccato quel suo corpo così minuto eppure così pieno di straripante energia».

Donna di spettacolo, cantante, ballerina, presentatrice televisiva, attrice. La Carrà era la diva della porta accanto, capace di innovare profondamente l’intrattenimento televisivo e poi d’incarnare la “tradizione”. Un personaggio che ha attraversato, dagli anni Sessanta ad oggi, tutte le epoche della Tv italiana riscuotendo sempre grande successo e profondo affetto del pubblico.

Aveva avuto un'infanzia difficile, cresciuta con la nonna romagnola e il nonno, poliziotto siciliano. «I miei genitori si sono separati subito dopo il matrimonio. Per l’epoca era una rarità e mio padre mi minacciava che, se non mi fossi comportata bene, mi avrebbe tolto a mia madre», aveva raccontato una volta. Più volte aveva precisato di non essere nata a Bellaria: «Non è vero. Mia madre era di Bellaria. Aveva un bar. La mia famiglia era molto benestante. È inutile che io racconti la favola della piccola Cenerentola che poi ha avuto successo. No, no, non era così. Per me Bellaria era il luogo della libertà, del profumo delle piadine, della gente per cui sono sempre stata la “fiola della Iris”. Mentre Bologna è il luogo dove ho vissuto, il luogo delle fatiche, del dovere, di queste cose qua insomma. Io in televisione ci sono arrivata dopo un sacco di tempo. E prima ero passata dal cinema. E dalla danza. A otto anni sono andata via da Bologna. Per frequentare l’Accademia nazionale di Danza, quella di Jia Ruskaia a Roma, all’Aventino. Sacrifici a non finire, esercizi interminabili, ossessioni. Io che stavo sulle punte da quando avevo tre anni. Da rovinarsi i piedi. Poi a quattordici anni la Ruskaia mi dice che avevo le caviglie troppo piccole. E che avrei dovuto studiare fino a 28 anni. Sono scappata via. Mia nonna amava l’arte, il violino, la musica. Il teatro. Così feci l’esame per entrare al Centro sperimentale di cinematografia. E il corso per diventare attrice. Ero diventata un’attrice. Ebbi una piccola parte ne La lunga notte del ’43 di Florestano Vancini».

Gigi Vesigna, direttore di Tv Sorrisi e Canzoni e a lungo collaboratore di Famiglia Cristiana scrisse una volta: «Un pezzo su Raffaella Carrà lo inizierei così: “Se fosse nata in Germania, sarebbe l’avatar della Merkel”». Una volta Brunella Giovara su Repubblica la definì «Pippo Baudo, ma femmina».

L’esordio al cinema nel 1963 con I compagni e poi Celestina con Carlo Lizzani ma la strada non la convinceva e la Tv la seduceva molto di più: «Andai a Hollywood e me ne tornai presto», raccontò una volta, «fui presa per un programma che si chiamava Io, Agata e tu. Con Nino Ferrer. Io dissi una sola cosa: “Datemi tre minuti solo per me. Anche padre Virginio Rotondi ha tre minuti solo per lui. Perché a me no?”. Io volevo ballare soltanto tre minuti da sola. Punto e basta. Che danni avrei potuto fare? Quella era una Rai di uomini straordinari. Un giorno chiesi di conoscere Ettore Bernabei. Me lo fecero incontrare e lui mi disse: “Lei è come la Ferrari. La esporteremo in tutto il mondo”. Da quel momento cominciarono i successi».

Dopo aver ballato quei tre minuti in Io, Agata e tu la madre la chiamò da Bologna in via Teulada: «Mi dice “Ma ieri sera non eri mica tu…”. E io: “Ma mamma, non mi hai riconosciuta!” E mia madre: “No, ieri sera eri un’altra”». Nel 1970 è protagonisti oltre che di Io, Agata e tu, anche di Canzonissima dove diede scandalo per la sigla di testa Ma che musica maestro: il costumista Enrico Rufini la barda con lacci e laccetti ma le lascia scoperto l’ombelico. Durante Canzonissima del 1971, lancia due balli: il Tuca Tuca e il Borriquito, vende milioni di copie della sigla Chissà se va e diventa la beniamina dei bambini nei panni di Maga Maghella, streghetta pasticciona che legge oroscopi strampalati. Poi Milleluci nel 1974, a fianco di Mina con la regia di Antonello Falqui, è una lotta a colpi di zatteroni, talento e trovate registiche.

Una rivalità con la signora della musica italiana descritta così da Gigi Vesigna: «Tra lei e Mina ufficialmente non ci fu mai rivalità. Però quando fecero insieme Milleluci, io feci una copertina di Tv Sorrisi e Canzoni con loro due, e metterle d’accordo fu una via crucis. Raffaella soffriva il complesso dell’altezza, e così per avvicinarsi a Mina mise degli zatteroni con una zeppa pazzesca. Mina, che non voleva dargliela vinta, si infilò delle scarpe altissime, e si innescò una corsa al rialzo; in più il fotografo usò degli obiettivi che allungavano. Alla fine le foto erano assolutamente sproporzionate». In Milleluci, infatti, alla capigliatura tutta riccioli di Mina fu opposto il caschetto biondo della Carrà, studiato e preparato da Cele Vergottini, parrucchiere di Mike Bongiorno che ne aveva studiato uno non dissimile per Caterina Caselli.

Nel 2005 fu chiesto alla Carrà se non fosse il caso ormai, dopo trent’anni, di pensare a qualcosa di diverso, magari i ricci o l’abbandono del corto: «Ma io credo nella pulizia di una linea, così come in quella di un programma televisivo, di un comportamento. Pulizia! Se ti trovi bene pettinata così, allora non devi cambiare. E a me non sono mai piaciuti il rococò e il barocco, i troppi gioielli, l’eccesso».

Raffaella Carrà a Sanremo 2014 (Ansa)

Canzonissima del 1974 è l’anno dei balletti più scatenati, della canzone hit Rumore e dei duetti con Topo Gigio che cercava sempre di saltare dentro la sua scollatura più generosa che mai mentre in Ma che sera! (1978) lancia la canzone divenuta famosa in tutto il mondo: Come è bello far l’amore da Trieste in giù è l’indimenticabile sigla che segna il ritorno di Raffa in tv dopo 4 anni di assenza. Accanto a lei: Alighiero Noschese, Paolo Panelli e Bice Valori.

Poi ancora Fantastico 3 nel 1982 con la sigla Ballo, ballo sono un guerriero... quasi uno slogan per l’ennesimo ritorno in tv dopo l’ennesima trionfale tournée oltre Oceano e Pronto Raffaella nel biennio 1983-1985, con Gianni Boncompagni che inventò il gioco dei fagioli: il pubblico doveva indovinare quanti ne conteneva il barattolo di vetro che appariva in primo piano sullo schermo.

Raffaella Carrà non si è mai sposata: «La bellezza dell’amore è che è imprevedibile, guardi una persona negli occhi e la tua vita cambia all’improvviso. Io», confessò una volta, «mi sono innamorata di un uomo meraviglioso come Gianni Boncompagni da giovane ed è stato bellissimo perché, dopo il difficile rapporto con mio padre, mi ha ridato la fiducia negli uomini. La nostra è stata una coppia paritaria e mi ha fatto un gran bene: stando vicino all’aretino si è sviluppata la mia ironia».

Dopo aver lasciato Boncompagni, si mise col coreografo Sergio Japino. Per passare alla Fininvest si fece dare sette miliardi di lire per un contratto di due anni: «Quando Silvio Berlusconi giocava duro per imporre le sue televisioni», ha ricostruito Barbara Palombelli, «le mandò a casa un bracciale di Bulgari per convincerla a lasciare la Rai. Lei non cedette, rimase ancora tre anni nella tv di Stato, ma si sfiorò la crisi di governo sul rinnovo del suo contratto. “Me la ricordo eccome quella sera. Stavo mangiando davanti al telegiornale, avevo una forchetta piena di spaghetti. Rimase a mezz’aria, sul video c’era il presidente del Consiglio Bettino Craxi che gridava: ‘Il contratto della Carrà è una vergogna per gli italiani!’. I socialisti, loro sì, mi hanno fatto la guerra”. Correva l’anno 1984 e Raffaella Pelloni in arte Carrà (un nome datole da Davide Guardamagna, autore tv stufo di sentirla chiamare Belloni o Palloni dai tecnici con cui girava i primi sceneggiati, negli anni Sessanta) stendeva al tappeto due pesi massimi come Silvio e Bettino. Il primo dovette aspettare il 1987 per conquistarla sul serio alle insegne della Fininvest e il secondo, allora vincitore di tante battaglie, fu battuto dal partito Rai».

Dopo la breve parentesi in Spagna nei primi anni Novanta, al rientro in Italia annunciò una trasmissione tutta nuova, si rifiutò di anticipare alcunché a qualunque giornalista, obbligo di top secret per tutti, prove blindate ecc. E in effetti, la sera di giovedì 21 dicembre 1995, il pubblico italiano vide nascere non solo un programma mai visto prima, ma un genere, per l’Italia, del tutto nuovo: era Carràmba, che sorpresa, programma basato sulle lacrime provocate dai riconoscimenti, dalle ricongiunzioni e dai sogni realizzati in diretta, format poi largamente ripreso in decine di altri modi sia in Rai che in Fininvest (in Rai, per esempio, Il treno dei desideri con Antonella Clerici e in Fininvest C’è posta per te con Maria De Filippi). Il format veniva dall’inglese Surprise!. Il termine “carrambata” è entrato nel Devoto Oli del 2008.

Nel 2001 è sul palco del Festival di Sanremo come presentatrice dopo la lunga stagione baudiana. Non ha mai avuto figli: «All’inizio della mia carriera non volevo bambini: non mi andava di fare la star che gira il mondo con il panierino. Ho provato a quarant’anni, la natura mi ha detto no», disse una volta. Era molto legata ai nipoti Matteo e Federica, figli del fratello Renzo morto qualche anno fa: «Purtroppo però uno vive a Parigi e l’altra in Belgio». Tantissimi, invece, i bambini adottati a distanza: «La dimensione genitoriale, in fondo, si può vivere in tanti modi. Io, per esempio, non ho mai smesso di adottare bambini a distanza. Ogni anno mi arrivano le loro foto e vederli crescere mi rende felice. Il destino non mi ha lasciato sola».

In un’intervista recente si era definita una «persona molto spirituale che prega tanto, anche per le persone che non conosco, anche se vado in Chiesa raramente. Il mio rapporto con i preti è molto emiliano».

Nel 2014 a Famiglia Cristiana aveva raccontato di come nel 1984, a Pronto, Raffaella? realizzò uno scoop intervistando madre Teresa di Calcutta: «Quella mattina, appena entrata negli studi della Rai, mi dissero: “Oggi viene madre Teresa”. Avevamo fatto una raccolta fondi per una casa famiglia che lei aveva inaugurato a Roma, ma mai avrei pensato di averla nel mio programma. Quel giorno indossavo un abito nero con le maniche trasparenti piuttosto vistoso e due bracciali tempestati di Swarovski. Non ci fu tempo per cambiarmi e chissà cosa pensò madre Teresa quando mi vide così agghindata... In più, parlava in inglese con una voce molto flebile e io avevo il terrore di non capire nulla. Ricordo che mi rivolsi al mio angelo custode: “Ti prego, aiuta questa povera disgraziata”. Deve avermi ascoltato perché, non so come, compresi tutto ciò che mi disse. Ora devo darmi da fare per incontrare papa Francesco. Se ci riuscirò, di sicuro non mi presenterò con lo stesso look con cui mi ha vista madre Teresa».

Raffaella Carrà in una puntata di Carramba che fortuna del 1998 (Ansa)

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Dai fiori davanti a casa al cordoglio sui social, l'Italia piange Raffaella Carrà
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