«Passami la brugola». La chiamano
tutti così, per... cognome,
ma senza saperlo. Eh sì,
perché quella vite a testa cava
esagonale con la quale facciamo
spesso i conti è in realtà il cognome
del suo ideatore, e fondatore
dell’azienda Oeb, Officine Egidio Brugola.
Fu lui, Egidio Brugola, nel 1926, a iniziare
un’avventura che non solo non si
è mai conclusa ma sta aggiungendo anche
in anni difficili come questi altri
successi, con l’apertura di una sede negli
Stati Uniti, a Detroit.
«Sì, ma localizziamo negli Usa, e
non delocalizziamo», dice Jody Brugola,
35 anni, ultimo rampollo della dinastia
che ha visto, dopo nonno Egidio, al
bastone di comando dell’Oeb la nonna
Emmy per quattro anni, poi suo padre,
Giannantonio, dal 1964.
«Papà nel 2008 è stato nominato dal
presidente Napolitano Cavaliere al merito
del lavoro». E adesso tocca a lui, l’ultimo
Brugola, ancora una volta un Egidio,
ma per tutti Jody, nome americano che
ben si accorda con la nuova prospettiva
aziendale. Quando la notizia è diventata
ufficiale, c’era anche il governatore del Michigan,
il repubblicano Richard Snyder, a
Lissone, in provincia di Monza Brianza.
Da Detroit a Lissone per rendere omaggio
alla fabbrica che esiste dal 1926 grazie alla
forza di volontà e al sacrificio del capostipite
e dei suoi collaboratori.
Racconta Jody: «Il periodo della Seconda
guerra mondiale fu molto travagliato.
Ci furono trenta operai trucidati
dai nazisti e anche il nonno rischiò la vita.
Morì giovane, a 58 anni, nel 1959».
A produrre e vendere quelle viti, le
brugole, in tutto il mondo, ha continuato
il papà di Jody: «Aveva capito che bisognava
uscire dal settore standard e
farsi conoscere nel mondo». Nacquero
accordi con la Volkswagen prima e poi
con la Ford.
Fino ad arrivare al prossimo,
nuovo stabilimento di Detroit.
«Sì, ma sia chiaro: noi non porteremo
macchinari da qui in America, non
delocalizziamo. Se tutto va come da programma,
nella prossima primavera
inaugureremo lo stabilimento. Pensiamo
di assumere una cinquantina di personale
americano». Detta così, sembra
il ribaltamento della storia: erano loro
che assumevano noi italiani, emigrati.
DELOCALIZZARE, MAI.
«Noi serviamo più
di 50 stabilimenti nel mondo», prosegue
Jody Brugola, «ma se penso alla globalizzazione
tiro il freno». È stato tre
anni negli Usa: «Volevo fare tutt’altro,
non pensavo di tornare a Lissone. Avendo
vissuto laggiù, ho conosciuto e capito
la loro mentalità e visto buone possibilità
di sviluppo mentre, d’altro canto,
ho constatato che il modo di fare capitalismo
in tutto il mondo sembra stia arrivando
al capolinea.
A questa globalizzazione
si deve rispondere con maggiore
amore per il piccolo: più “local”, più cura
del proprio territorio».
Intanto, però, lo fate in avanti e andate
in America... «Ma solo per avvicinarci
maggiormente ai nostri clienti, la
Ford, non per fuggire da qui, delocalizzare,
mai. Anche noi abbiamo sentito
la crisi.
Il periodo duro è stato nel 2009,
ma oggi abbiamo invertito la tendenza
e aumentato il fatturato. A Detroit investiremo
in uno stabilimento più piccolo
di quello di Lissone ma siamo certi
che avremo molte soddisfazioni».
Attento, come i suoi predecessori,
alle attività sociali, è fortemente legato
a papa Wojtyla: «Con una madre polacca,
non potevo non sentirmi affascinato
da un Papa con quel carisma», e guarda
a papa Francesco con speranza. «Lo
ammiro, ha il coraggio di affrontare anche
temi scomodi. Io non sono un praticante
ma la preghiera è sempre presente,
tutti i giorni, nella mia vita».