Stavolta non ce l’ha fatta. Un arresto cardiocircolatorio lo ha stroncato quando sembrava aver superato l’ennesima prova del suo accidentato cammino, un’operazione al cervello per la rimozione di un coagulo di sangue. El pibe de oro si ferma qui, saluta tutti e scende dalla carovana della cronaca. Per lui è già pronto un posto nella storia del calcio.
Il 30 ottobre scorso ha fatto cifra tonda, 60 anni, che per una vita come la sua significa essere andato oltre ogni più ottimistica previsione. L’infanzia povera, l’improvviso successo e il conseguente denaro, gli stupefacenti e l’alcol, la depressione: gli ostacoli che ha dovuto saltare in dribbling sono stati tanti quanti i difensori, ma finora nessuno era riuscito a metterlo a terra. È sopravvissuto a se stesso con il solo compito di farci sognare.
Sono in particolare due le frange di tifosi che gli devono molto, se non tutto: i napoletani e gli argentini. Nella città partenopea arriva nel 1984, sottratto al Barcellona, ed è subito amore viscerale: c’è un nuovo san Gennaro in città. Diego riesce nell’impresa di vincere due scudetti (1987 e 1990) con la collaborazione di fidi scudieri come Giordano e Careca; le magie del suo piede sinistro incantano la Serie A e respingono gli attacchi delle ricche corazzate del Nord, Milan, Inter e Juventus, abituate a spartirsi a turno il bottino.
Con la maglia albiceleste della sua Nazionale compie il capolavoro del Mondiale messicano del 1986. Attorniato da un manipolo di semplici e volenterosi gregari, trascina letteralmente l’Argentina di partita in partita, fino al trionfo finale con la Germania Ovest. Mai una squadra si è identificata tanto nel suo giocatore più carismatico, nemmeno il Brasile di Pelé, il quale, al contrario, ha sempre avuto attorno a sé fior di campioni, da Garrincha a Rivelino. È come se, per vincere, Diego dovesse farlo andando controcorrente, portando al successo quelle piazze calcisticamente sfavorite, per storia, blasone, potenza economica. Il Sud del mondo del calcio, Napoli e l’Argentina.
Resterà appeso al nostro cuore, come lo struggente souvenir di un’avventura amorosa, il secondo gol con l’Inghilterra nei quarti di finale al Mondiale: un infinito dribbling partito da centrocampo e terminato alle spalle del portiere. Un gesto di una bellezza disarmante immortalato nella telecronaca di Victor Hugo Morales: «...ecco, ce l’ha Maradona. Lo marcano in due, tocca la palla Maradona, avanza sulla destra il genio del calcio mondiale… sempre Maradona... genio, genio, genio… c'è, c'è, c'è... goool... voglio piangere… Dio Santo, viva il calcio! Golaazooo... Diegoool... c'è da piangere, scusatemi... Maradona in una corsa memorabile, la giocata migliore di tutti i tempi... aquilone cosmico! Da che pianeta sei venuto, per lasciare lungo la strada così tanti inglesi? Grazie, Dio, per il calcio, per Maradona, per queste lacrime, per questo Argentina 2, Inghilterra 0.»
Adios, aquilone cosmico.