La notizia della scarcerazione di Massimo Carminati, una delle figure simbolo del processo passato alla cronaca come Mondo di mezzo, per decorrenza dei termini di custodia cautelare sta facendo discutere. Abbiamo chiesto ad Adriano Sansa di aiutarci a capire come e perché questo è avvenuto e come interpretare questo fatto.
Dottor Sansa, questa scarcerazione viene letta dall’opinione pubblica come una sconfitta del sistema giustizia. Lo è?
«Prima di stracciarsi le vesti, direi di restare pacati e analizzare la questione da un punto di vista distaccato: dobbiamo prendere atto che non siamo di fronte a un condannato con sentenza definitiva che esce avendo scontato una pena breve, ma a un imputato che ha trascorso una lunga e severa custodia cautelare e che attende una sentenza definitiva, che in questo caso certamente arriverà, perché la colpevolezza è già accertata in Cassazione e la Corte d’appello dovrà limitarsi a rideterminare la pena che resta da scontare. Questo ci dice che il tempo trascorso non è bastato ad arrivare alla sentenza definitiva prima della scadenza dei termini e ciò ci impone di confrontarci con il problema annoso della lunghezza del processo italiano, che dipende da una pluralità di fattori, ma anche che non è stato tempo trascorso invano: si è arrivati ad accertare in giudizio le responsabilità di una banda pericolosissima che inquinava la città di Roma da tempo immemorabile e che sconterà il dovuto secondo le regole, questo non può essere considerato un fallimento della giustizia, anzi».
In questo caso a che cosa dobbiamo attribuire la lunghezza?
«Direi a tre fattori, alcuni giustificabili altri meno: 1) Il fatto che si è trattato di un procedimento che ha coinvolto bande criminali, amministratori, politici, molto complesso per il numero di imputati, per la quantità di fatti contestati e per le annose complicità da ricostruire. La complessità incide sul fattore tempo 2) Il fatto che ci si scontra in Italia con la complicazione di molte norme di formulazione non sempre chiara: in questo caso ha certo inciso la difficile caratterizzazione del reato di associazione di stampo mafioso, su cui giudici si sono forse troppo logorati, cui va aggiunto un eccesso di possibilità di impugnazioni che è un altro fattore rallentamento. 3) Il fatto che le motivazioni della sentenza della Cassazione siano arrivate 8 mesi dopo la sua pronuncia, un tempo troppo lungo, impone una riflessione anche sull’efficienza».
Facciamo un passo indietro e cerchiamo di spiegare un po’ le regole del gioco, per far capire ai lettori che cos’è accaduto di preciso. Che cosa significa in parole semplici decorrenza dei termini?
«La custodia cautelare in carcere si applica all’imputato, prima del giudizio, quando vengono contestati reati al di sopra di una certa gravità, e il giudice valuti il pericolo attuale che possano essere inquinate le prove, che l’imputato possa fuggire o commettere nuovamente il reato. La custodia cautelare, però, per un principio di civiltà giuridica, non può essere protratta a tempo indeterminato, ha un termine che viene calcolato sul limite massimo della pena previsto dal codice per il reato contestato. Nel caso di Carminati, dopo che la Cassazione aveva ritenuto decaduta l’ipotesi di associazione mafiosa, si trattava di corruzione, per cui al momento del reato la pena massima era di 8 anni. Questo significa che il tribunale del Riesame ha accolto l’istanza degli avvocati affermando che, avendo Carminati trascorso in carcere 5 anni e 7 mesi, i termini sono scaduti».
Se fosse rimasta in piedi l’accusa di associazione mafiosa, quel termine sarebbe stato diverso?
«Sì, perché si tratta di un reato con una pena massima più elevata».
Questo meccanismo agisce anche quando a una persona vengono contestati più reati? Le misure cautelari non si sommano?
«No, perché un istituto giuridico a garanzia dell’imputato impedisce che vengano applicate misure cautelari “a catena”, una dopo l’altra, per reati diversi, cosa che permetterebbe di “aggirare” il termine massimo. Quel termine si calcola dalla cattura sul reato più grave contestato, anche si tratta di procedimenti diversi, in fasi differenti. Si tratta di un meccanismo non facile da calcolare, (che per questo fa discutere giuristi e magistrati e che ha costretto più volte le sezioni unite della Cassazione a intervenire ndr.), ma è quello su cui le difese hanno fatto leva in questo caso».
Nel novembre scorso la Cassazione aveva confermato definitivamente la colpevolezza di Carminati, rinviando in appello soltanto per ricalcolare la pena, in questo caso non si tratta di sentenza definitiva?
«I giudici del Riesame hanno spiegato che, dal momento che c’è stato un rinvio in appello, anche se si tratta solo di stabilire la pena, la sentenza non può considerarsi tecnicamente definitiva e quindi i termini di custodia cautelare hanno continuato a decorrere, perché in Italia finché non c’è la sentenza definitiva formalmente il detenuto è “in attesa di giudizio”».
Le motivazioni della sentenza della Cassazione che ha rinviato in appello hanno impiegato otto mesi ad arrivare, se fossero state più celeri si sarebbe evitata la scarcerazione?
«Premesso che 8 mesi sono troppi, possiamo solo dire con certezza che l’arrivo della sentenza definitiva avrebbe modificato la forma passando dalla custodia cautelare all’esecuzione della pena cosa che comunque avverrà quando sarà depositata la decisione con la pena ricalcolata. Ma non possiamo dire se sarebbe cambiata la sostanza, cioè se Carminati sarebbe rimasto in carcere».
Perché?
«Perché tutto dipende dall’entità della pena che la Corte d'appello infliggerà. Quando si esegue la sentenza di una persona che si trova in custodia cautelare, il tempo trascorso in carcere prima del giudizio viene sottratto alla pena definitiva in quanto “già scontato”. Se, quando arriverà la sentenza definitiva, a Carminati resterà da scontare un residuo di pena superiore a quattro anni tornerà in carcere, se quel residuo sarà inferiore potrà chiedere di accedere a una misura alternativa al carcere, perché questo prevede la legge. Astrattamente è possibile anche che abbia anche già scontato l’intera pena, ma finché non sarà ricalcolata non possiamo saperlo».
Quali riforme si potrebbero auspicare in direzione di una maggiore celerità ed efficienza?
«Leggi tecnicamente più chiare, un sistema di impugnazioni più razionale e la correzione delle inefficienze ingiustificate aiuterebbero ad accorciare il processo, più di quanto non aiuti mandare ispettori a posteriori. Mi piacerebbe che ora anziché sul passato ci si concentrasse sul presente e sul futuro: che ci si interrogasse sul bisogno di verificare se ci sia ancora del lavoro da fare, considerato che quanto leggiamo a proposito Ostia e dei Casamonica ci dice che i problemi di Roma non saranno tutti risolti alla fine di questo processo».