Un bambino su tre, dopo la separazione dei genitori, diventa orfano involontario. Si tratta di 25mila minori che perdono, cioè, i contatti con uno dei genitori, di solito il padre. Lo dimostra una ricerca dettagliata, condotta su un campione di 300mila minori sparsi in quattro Continenti, presentata per la prima volta in Italia dal pediatra Vittorio Vezzetti. Relatore al convegno “Affrontare la crisi della famiglia nel nome dei figli”, Vezzetti ha disegnato un quadro desolante del nostro Paese. A differenza di altre nazioni dove l’affido condiviso è stato bel applicato consentendo ai figli di non essere penalizzati dalla separazione dei genitori, in Italia questo istituto stenta a decollare. Il risultato, ha spiegato il pediatra, responsabile scientifico dell’Associazione nazionale familiaristi italiani (anfi), «è che da questa deprivazione discende una serie di problemi di natura psicologica per il bambino, che invece si eviterebbero con una reale condivisione dell'obbligo di cura tra i genitori».
Introdotto nel 2006, l’affido condiviso, secondo l’associazione Colibrì che ha organizzato il convegno insieme con l’Anfi e l’università La Sapienza, «è stato applicato con molte distorsioni. Succede così che, anche se c’è l’affido condiviso, in realtà il minore viene "collocato" presso uno solo dei genitori, in genere la madre, con marginalizzazione dell’altro». Per superare questa abitudine e consentire una reale condivisione l’associazione si sta battendo per consentire ai figli di avere «una doppia casa, un doppio domicilio, perché il luogo dei loro interessi e affetti sarà duplice».
In questa direzione di “due genitori parimenti genitori e due case parimenti casa” andava anche il disegno di legge presentato nella scorsa legislatura dalla ex-senatrice Alessandra Gallone. Presente al convegno, ha spiegato che «anche se non ha ottenuto l’ok del Parlamento, nella prossima legislatura proverà a tornare alla carica». Stando alla ricerca, il confronto con gli altri Paesi del mondo dimostra che laddove l’affido condiviso è stato ben applicato un numero inferiore di separazioni si è poi trasformato in divorzio. Il Paese con la maggior percentuale di affidi congiunti è la Svezia.
L’affido condiviso? Il suo riconoscimento legislativo e la sua diffusione nella prassi delle separazioni italiane sono un fatto molto positivo, che ha consentito di riportare i padri sulla scena educativa e affettiva nella relazione con i figli. «Ma un coinvolgimento significativo non significa, necessariamente, una suddivisione al 50% di tutte le responsabilità organizzative e genitoriali. Ogni separazione è una storia a sé. Se l’affido condiviso deve trasformarsi in una lotta per avere tutto doppio, diventa una follia». Costanza Marzotto è psicologa, mediatrice familiare, direttore del Master biennale in Mediazione familiare e comunitaria all’Università Cattolica e membro dell’équipe del Servizio di Psicologia Clinica per la coppia e la famiglia che da anni ha istituito anche i Gruppi di parola per i figli dei genitori separati (www.unicatt.it/serviziocoppiafamiglia).
Rispetto alle dinamiche e alla riuscita dell’affido condiviso in Italia ha una visione estremamente lucida, che tiene conto anche del panorama internazionale in cui questa esperienza ha già una lunga e importante storia da raccontare.
Nell’ultima legislatura si è discusso di una proposta per incentivare ulteriormente l’affido condiviso, facendo sì che i figli dei separati abbiano davvero due domicili, due abitazioni, doppi luoghi degli interessi e degli affetti. Cosa ne pensa?
«Da un lato, penso che ci troviamo in una fase in cui l’esperienza dell’affido condiviso è ancora fortemente rivendicata, soprattutto dai padri, dunque si pretende il 50% di tutto per essere certi di essere coinvolti nella vita dei figli. Ed è vero che attualmente il genitore “collocatario” ha una posizione “dominante”, mentre l’altro, in una posizione più accessoria, finisce per diventare maggiormente rivendicativo soprattutto sul fronte economico, disposto per esempio a pagare solo per le spese sostenute quando il figlio è con lui. Ma questo non è il cuore del problema. E qual è, allora? Il problema è che i genitori devono essere aiutati a chiedersi quale fosse, durante il matrimonio, la loro delega di responsabilità genitoriale. Se un padre, per esempio, aveva già un ruolo periferico nella vita dei figli – e ciò avviene spesso, perché in Italia la struttura familiare vede ancora un genitore principale e uno accessorio – sarà molto difficile costruire “in laboratorio” un affido condiviso in cui all’improvviso diventa presente e condivide esattamente a metà ogni responsabilità educativa e familiare. Sappiamo che non è nemmeno questo che serve ai figli».
In che senso?
«Una recentissima ricerca anglosassone, condotta su un campione di 400 giovani adulti che hanno ripercorso la separazione dei genitori, ha fatto emergere il bisogno di un progetto il più possibile personalizzato, che tenga conto dell’età e dei bisogni del singolo bambino, basato più sulla qualità della relazione che sulla quantità. Facciamo un esempio: per la qualità della relazione, forse è più importante che un padre porti ogni settimana il proprio figlio a calcio o a nuoto, piuttosto che gli imponga di condividere, magari fin dalle prime settimane della separazione, una nuova casa in cui vive anche un nuovo partner magari con altri figli».
Dunque è meglio non imporre una divisione della vita familiare “con il bilancino”...
«Esattamente, soprattutto, lo ripeto, se prima della separazione il ruolo del padre era in qualche modo accessorio rispetto a quello della madre. Questo non significa escludere un genitore, ma incoraggiarlo e coinvolgerlo in una relazione davvero significativa. E’ quello che ci chiedono anche i ragazzi: vorrebbero percepire che il genitore collocatario incoraggia e sponsorizza il rapporto con l’altro genitore, invece accade spesso che gli incontri sono vissuti con estrema tensione e ansia di controllo».
Per questo si cercano strumenti giuridici per dare maggiore concretezza all’affido condiviso…
«Certo, abbiamo molte esperienze all’estero in questo senso: in Canada, per esempio, l’alternanza tra una casa e l’altra è una realtà. L’affido condiviso alternato, che impone al bambino di vivere a settimane alterne in due case diverse, è però al centro di un fortissimo ripensamento in Francia: sono stati i padri stessi a capire che il cambiamento continuo del setting alimentare, educativo, organizzativo era fonte di grande stress per i bambini e i ragazzi».
Allora, che fare?
«Accedere a una mediazione familiare precoce, avere un orientamento informativo preventivo per stabilire accordi significativi da proporre direttamente al giudice della separazione. In questi ultimi tempi ho visto funzionare molto bene una soluzione che prevede l’alternanza dei genitori nella casa familiare. E’ un’esperienza che prevede che entrambi abbiano una casa “di riserva”, magari quella dei nonni o di un nuovo partner, ma permette di lasciare invariate le abitudini dei bambini, di evitare la famosa “valigia in mano” e di introdurre i cambiamenti della separazione con estrema gradualità, condividendo davvero ogni situazione, spesa, difficoltà nella gestione domestica ed educativa».