(questo articolo fa parte del numero di maggio - giugno 2011 di Famiglia Oggi). E' possibile abbonarsi al bimestrale cliccando qui.
Il dibattito contemporaneo sul fenomeno dell’uso e
abuso di droghe tra i giovani, mette in evidenza come
l’assunzione di queste sostanze, e in particolare
l’uso di alcool, sia ritenuta, in alcuni casi, una pratica
pressoché “normale”. Pertanto tali comportamenti non
possono più essere considerati come l’effetto di processi
di sviluppo di atti devianti, ma vanno interpretati all’interno
di un quadro adolescenziale complessivo. Alcuni
autori definiscono i comportamenti di uso di droghe
come dei compiti di sviluppo, seppur disfunzionali, che
un soggetto in crescita ha, di fatto, a disposizione per risolvere
situazioni che avverte come problematiche.
Il fenomeno della tossicodipendenza oggi assume
tratti preoccupanti e sempre più allarmanti per chi si occupa
di educazione. La fascia di età di chi sperimenta la
prima sostanza si abbassa vertiginosamente e ciò pone
in evidenza un’emergenza pedagogica che in primo luogo
è di tipo conoscitivo. Diviene importante approfondire
le caratteristiche di un fenomeno in continua evoluzione
e cambiamento. Tale fenomeno sta cambiando
forma e la stessa figura del tossicodipendente nella percezione
sociale e nell’immaginario collettivo si va modificando:
siamo di fronte non più al ragazzo vittima di sostanze,
fondamentalmente eroinomane e ai margini di
una società; sempre più spesso ci si imbatte in ragazzi
ben integrati e perfettamente inseriti anche nel contesto
lavorativo e sociale, i quali fanno uso di cocaina e
hanno un’immagine “pulita”, dichiarando di assumere
sostanze per stare meglio con sé stessi e con gli altri (ciò
pone in evidenza il grande vuoto esistenziale in cui i nostri
ragazzi sono immersi, stretti nella morsa della noia
da un lato, e della volontà di trasgredire e rompere una
monotonia difficilmente sopportabile).
Da un punto di vista scientifico è molto interessante
approfondire quali siano i passaggi che conducono a
una condizione di questo tipo, quali i fattori di rischio
(ovvero i campanelli di allarme che è possibile osservare)
e su un piano pratico-progettuale è opportuno chiedersi:
come è possibile intervenire?
Utilizzando quale
canale e trasferendo
quali competenze? La letteratura
ci offre numerosi
spunti utili a programmare
interventi che si ispirino
a una prospettiva di tipo
preventivo-promozionale.
Il termine prevenzione etimologicamente
deriva dal
latino praeventio e indica
l’adozione di una serie di
provvedimenti per cautelarsi
da un male futuro, e
quindi l’insieme delle azioni
volte a raggiungere tale
scopo. L’etimo prevenzione
fa, tuttavia, riferimento
a due aree tematiche connesse
tra loro, l’una si riferisce
al concetto di arrivare
prima, precedere, anticipare;
l’altra può avere il significato
di impedire, ostacolare,
evitare. Per questa
ragione si è preferito affiancare
al termine prevenzione,
quello di promozione
che rimanda all’idea di
sostenere, sollecitare, suscitando
suggestioni positive.
Ciò conduce chiaramente
al concetto di promozione
della salute, già
anticipato dalla tradizione
ippocratica, oggi utilizzato
per evidenziare gli aspetti
positivi che favoriscono il
raggiungimento del benessere
psicofisico.
Interessante è la definizione di psicologia preventiva fornitaci da Fernandez- Rios e Cornes, i quali evidenziano alcune caratteristiche di questa prospettiva, in primo luogo il carattere di interdisciplinarietà, la prospettiva ecologica dell’intervento, il fatto di essere proattiva, la sua prospettiva etica (rispettando sempre la persona nel senso olistico del termine) e infine la concezione bio-psicosociale della salute. È quindi possibile conoscere un fenomeno partendo da un’attenta analisi dei fattori di rischio (individuali oppure contestuali). Prevenire i comportamenti a rischio diviene, quindi, essenziale se si vuole agire per modificare un comportamento. Si tratta, infatti, di mobilitarsi per lavorare sul trasferimento di competenze e abilità sociali in grado di contrastare gli specifici fattori di rischio.
Progettare interventi di
questo tipo certamente
non è cosa semplice. Il primo
passo è rappresentato
evidentemente dalla conoscenza
di un fenomeno, calato
in un determinato
contesto socio-culturale
(prospettiva ecologica).
Nell’ambito di un progetto
preventivo di ricercaazione
denominato Progetto
Icaro (con l’evidente
riferimento mitologico
a Icaro che voleva volare)
si è inteso procedere su
due assi: quello della ricerca,
ovvero del recupero di
informazioni e dello studio
approfondito di un
contesto e di un campione,
e quello dell’intervento,
in una logica a spirale,
tale da consentire un continuo
ritorno sui dati di
partenza nella massima
flessibilità possibile.
La ricerca-
azione si pone come
motore di sinergia tra teoria
e prassi in cui la ricerca
è direttamente finalizzata
all’azione; quest’ultima
poi è in grado di orientare
l’indagine in un andamento
circolare in cui il feedback
ha una funzione di
collante tra teoria e prassi.
In una frase è possibile
affermare che la ricercaazione
si ponga tra il desidero
di conoscere e il bisogno
di agire. Desiderio e
bisogno animano una modalità
di ricerca che si
esprime in termini di circolarità
e malleabilità4. Da
un punto di vista metodologico
la ricerca-azione
possiede alcune importanti
caratteristiche che pare
opportuno richiamare:
- la connessione diretta
con i problemi socioeducativi:
essa non nasce
da una questione epistemica,
ma da un problema di
tipo socio-educativo, avvertito
come rilevante da una
comunità;
- il circolo analisi-azione:
ovvero esiste un passaggio
continuo tra la riflessione
e l’azione;
- l’elaborazione delle
transizioni: il concetto di
cambiamento prende in
considerazione anche
l’adeguamento dell’ambiente
educativo ai bisogni
degli attori;
- l’emancipazione degli
attori: questi hanno il
potere di determinare il
corso dell’azione pur negoziando
le scelte in un
processo di compartecipazione;
- il coinvolgimento esistenziale
degli attori;
- la riabilitazione dell’affettività
e dell’immaginario;
- e, infine, la centralità
dell’efficacia.
Il Progetto Icaro ha visto
coinvolti diversi partners6,
è stato attuato presso
il comune di Fasano (Br),
un piccolo centro tra il mare
e la collina, purtroppo
spesso al centro di tristi fatti
di cronaca che coinvolgono
frequentemente giovani
e giovanissimi, i quali incrociano
lungo la loro esistenza
la sostanza, spesso
vissuta come “panacea di
ogni male” e che si rivela
una finta illusione in grado
di rovinare non solo
una vita, ma l’esistenza di
una famiglia, di un contesto
sociale, con gravi ripercussioni
sulla qualità della
vita di ciascuno.
Il progetto si può suddividere
in due fasi: durante
la prima è stato somministrato
un questionario al
campione rappresentativo,
al fine di raccogliere informazioni
sull’uso e abuso
di sostanze stupefacenti;
la seconda fase (quella
dell’intervento) è stata caratterizzata
dalla formazione
di piccoli gruppi di ragazzi,
i peer leaders, i quali
hanno seguito degli incontri
di approfondimento
sui temi cardine che è stato
possibile estrapolare
dal questionario.
Questi incontri sono stati
organizzati e condotti
con la collaborazione di
esperti della Polizia, avvocati,
psicologi, docenti e
operatori di comunità che
di volta in volta hanno incontrato
i ragazzi approfondendo
temi e chiarendo
molte questioni tutt’ora
oggetto di confusioni
e pregiudizi. Obiettivo
principale della ricerca è
stato quello di cogliere gli
indici predittivi di un fenomeno
oramai esteso a macchia
d’olio e soprattutto latente,
imbrigliato nelle
maglie di una società che
stenta a offrire risposte alternative
e si appiattisce su
un “non senso” che imprigiona
soprattutto le giovani
generazioni.
Indici predittivi, fattori
di rischio e fattori di protezione,
quindi, sono stati il
fulcro di un questionario
anonimo composto da 33
domande e somministrato
a un campione di ragazzi
di età compresa tra i 14 e i
19 anni afferenti a tre scuole
del territorio: un Liceo
Scientifico, un Liceo Classico
e un Istituto Professionale
per i Servizi Sociali.
Su una popolazione studentesca
di 970 ragazzi frequentanti
le tre scuole citate,
è stato estrapolato un
campione statisticamente
rappresentativo di 100 unità.
Nello specifico il campione
è risultato costituito
da 73 femmine e 27 maschi,
di questi: il 26% di 15
anni; il 18% di 16 anni; il
17% di 17 anni e il 14% di
18 anni; sotto la voce “altro”
pari al 25% del totale
si trovano il 22% di 14 anni
e il 3% di 19 anni.
Sulla base dell’individuazione
degli indici predittivi
strettamente correlati
all’uso e abuso di sostanze
stupefacenti è stato
possibile tracciare un profilo
del rischio della popolazione
giovanile presa in
considerazione dalla ricerca.
È opportuno chiarire
che, sull’intero campione,
il 15% dei ragazzi che ha
dichiarato di aver fatto un
uso diretto di sostanze,
presenta in media 4,8 indici
predittivi. Questo ci fa
comprendere che più aumenta
la presenza di indici
predittivi più ci si avvicina
alla condizione di uso
abituale di sostanze stupefacenti
(ciò anche in linea
con i dati forniti dalla letteratura
scientifica sull’argomento);
inoltre questi dati
ci forniscono un’informazione
sull’attendibilità dello
strumento utilizzato.
Analizzando i singoli indici
predittivi che emergono
dalle risposte del campione,
nel 59% dei casi (a
conferma dell’importanza
che il gruppo dei pari rappresenta
per gli adolescenti)
emerge quale indice
predittivo: “interazione
con coetanei che hanno atteggiamenti
positivi e tolleranti
verso la droga o interazione
con coetanei che
ne fanno uso”. Degna di
nota la risposta alla domanda:
“Se volessi, sapresti
come procurarti alcune
sostanze stupefacenti?”.
Il
57% afferma che sarebbe
facile reperirle. Si evidenzia
altresì un ulteriore indice
predittivo ovvero “disponibilità
e accessibilità
delle droghe nel contesto
sociale in cui si vive”; nel
40% dei casi si rileva un
uso precoce (prima dei 13
anni) di tabacco e alcool;
il 26% dei ragazzi dichiara
di aver assunto comportamenti
precoci di tipo antisociale
(coinvolgimento
in risse, intimidazioni o minacce,
menzogne o imbrogli
finalizzati al divertimento);
in relazione alla difficoltà
di resistere alla pressione
di gruppo, il 15%
dei ragazzi dichiara che di
fronte a una richiesta del
gruppo si sentirebbe condizionato
ad assumere sostanze
stupefacenti; qui è
interessante scendere nel
dettaglio delle motivazioni
per cui si dà questa risposta,
e a tal proposito i
ragazzi evidenziano che
userebbero la sostanza per
dimenticare i problemi,
per curiosità e per non essere
esclusi dal gruppo.
Nel 14% dei casi si registra
l’atteggiamento e le
credenze positive sull’uso
di sostanze (che sommate
a pressione del gruppo e
impulsività fanno si che la
probabilità di inizio si alzi
notevolmente); infine il
5% riporta che nel contesto
familiare vi sono da
parte di fratelli e sorelle atteggiamenti
o comportamenti
positivi o di tolleranza
verso le droghe; nell’
1% dei casi si riportano
atteggiamenti di questo tipo,
riferiti specificatamente
ai genitori.
Ciò induce a
un’ulteriore riflessione sul
ruolo della famiglia oggi,
sulla qualità delle relazioni
affettive al suo interno,
sulle sue difficoltà, incertezze e le conseguenze
preoccupanti cui si va incontro
assumendo stili
educativi che lasciano spazio
alla confusione.
Un dato importante su
cui riflettere ed eventualmente
da cui partire per
l’implementazione di progetti
sul territorio riguarda
le risposte che i ragazzi
hanno fornito alla domanda:
“Quali sono i servizi e
le strutture cui rivolgersi
se qualcuno presenta un
problema con la droga
e/o con l’alcol? Come funziona
la presa in carico?
Quali sono i trattamenti
proposti?”. Ebbene dalle
risposte si evince la quasi
totale assenza di informazioni
(indice predittivo), e
solo in alcuni casi la presenza
di scarse informazioni.
I ragazzi ignorano quasi
completamente la presenza
sul territorio di strutture
idonee al trattamento
di queste problematiche.
Obiettivo del progetto
sarà quello di fornire informazioni
utili rispetto a
questi argomenti, utilizzando
il canale “privilegiato”
dei peers leaders.
Pertanto,
nella logica del pretest/
post-test sarà, quindi,
possibile evidenziare se un
intervento di questo tipo
sortisce effetti significativi
rispetto alla padronanza e
conoscenza da parte dei
giovani e giovanissimi di
quello che il proprio territorio
offre in termini di
servizi alla persona.