(Nella foto sopra: guerriglieri talebani nel distretto di Nagarhar, in Afghanistan)
Glili Stati Uniti non ci credono più. L'impresa di ricostruire l'Afghanistan, di sottrarlo al neo-medievo del mullah Omar per trascinarlo verso la modernità (in altre parole: per riportarlo a ciò che era negli anni Sessanta) è fallita, ci arrendiamo. Comunque vada a finire, la trattativa che gli americani hanno condotto con i talebani ha già trasmesso questo messaggi0 al mondo. L'inevitabile conclusione è che, presto o tardi, ci ritireremo, il contingente internazionale farà armi e bagagli e lascerà Kabul al suo destino. Non a caso anche il Governo italiano sta già facendo i conti e preparando i piani.
Si può filosofare e spaccare il capello in quattro, ma di questo si tratta. Basta notare ciò che i talebani hanno chiesto anche solo per sedersi al tavolo, e cioè che la pace fosse condizionata al ritiro totale e definitivo delle truppe straniere e che dai colloqui fosse escluso il legittimo Governo afghano, che infatti è stato informato a cose fatte. Tutto questo ha significato riconoscere ai talebani uno status ufficiale, li ha trasformati, da quei terroristi che sono, in un esercito regolare e in un nemico ufficiale, quasi fossero uno Stato. Una resa, politicamente una rotta, visto che nel 2001, dopo gli attentati delle Torri Gemelle, organizzati da Osama bin Laden dai suoi rifugi afghani, avevamo invaso l'Afghanistan proprio per eliminare quei talebani a cui, ora, ci apprestiamo a consegnare il Paese.
Certo, la realpolitik ci dice che potremmo restare in Afghanistan per sempre senza fare sostanziali progressi. In questi 18 anni più di 120 mila afghani (dei quali almeno 30 mila civili) sono morti, accanto a 5.300 soldati Nato (dei quali 53 italiani), 1.700 contractor delle più diverse nazionalità e a 300 inermi cooperanti. Sono stati spesi più di mille miliardi di dollari nelle sole operazioni militari. E il risultato è che oggi i talebani controllano una porzione di territorio più vasta di quella che i loro padri controllavano nel 2001. Un fallimento, insomma. Il primo di una serie sanguinosa proseguita senza rimorsi né ripensamenti con l'Iraq, la Libia e la Siria.
Contribuisce al distacco la mutata strategia degli Usa. Donald Trump vuole liberarsi di tutti gli impegni che giudica poco produttivi e troppo costosi (adesso l'Afghanistan, poche settimane fa il Rojava dei curdi siriani, prima ancora la Libia) per concentrarsi su alcune alleanze forti (Israele e Arabia Saudita in funzione anti-Iran in Medio Oriente, il Giappone riarmato in funzione anti-Cina in Asia) nelle aree cruciali del mondo.
Nessun ragionamento politico, però, potrà mai risarcire gli afghani di quello che per loro, alla fine, è stato un doppio inganno. Nel 2001 abbiamo invaso il Paese per sradicare gli assassini qaedisti e gli oppressori talebani, promettendo in cambio libertà, democrazia e condizioni di vita migliori. Chi scrive ebbe la fortuna di poter raccontare quel Paese in due reportage per Famiglia Cristiana, nel 1998 (quando i talebani erano al potere) e nel 2001, durante l'attacco occidentale. Per la popolazione era un incubo, spesso un inferno.
Agli afghani abbiamo chiesto di pazientare, di sopportare la guerra continua, di resistere agli attentati, di accettare Governi e governanti scelti più da noi che da loro. I nostri assurdi progetti politici sono andati in fumo mentre la violenza cresceva. Nello stesso tempo abbiamo dato loro un indizio di ciò che avrebbe potuto avvenire nel loro Paese: più bambini e soprattutto più bambine a scuola, meno bambine costrette a sposarsi con uomini adulti che le compravano come bestie al mercato, meno mamme morte di parto e meno bambini morti sotto i cinque anni d'età. Adesso molliamo tutto. Siamo stanchi, non ce la facciamo più. E' ora di tornare a casa. E degli afghani, che di fatto riconsegniamo ai talebani, che sarà? Abbiamo provato a chiedercelo?
L'impresa del 2001 era sballata in tutte le sue premesse, come lo furono poi quelle successive che abbiamo già citato. Ma questo non elimina il fatto che ci siamo assunti una responsabilità nei confronti degli afghani. Responsabilità che ora dismettiamo come se fosse un abito vecchio. E' la stessa cosa che abbiamo fatto con gli iracheni, i libici, i curdi, i siriani ai quali abbiamo preferito Al Nusra e l'Isis. Sarebbe più che giunta l'ora di vergognarsi.